«La Cina è pronta a fornire armi alla Russia». L’allarme lanciato dagli Usa agli alleati trapela mentre i colloqui tra il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e il responsabile della politica estera del partito comunista cinese Yang Jiechi sono in corso da ore a Roma. E spiega la fretta con cui Washington ha voluto organizzare un incontro con il rappresentante di Pechino.
«Lo scopo del colloquio era esprimere in modo molto chiaro le nostre preoccupazioni rispetto ad un loro coinvolgimento» nella guerra in Ucraina e ribadire alla Cina «che qualsiasi tipo di supporto a Mosca - militare o economico - comporterà delle implicazioni», ha scandito il portavoce del dipartimento di Stato Usa Ned Price a Washington, mentre a Roma Sullivan lasciava l’hotel Cavalieri Waldorf Astoria dopo sei ore e mezza di faccia a faccia. Una lunga maratona che non sembra però aver tranquillizzato Washington: quella che è emersa infatti alla fine dell’incontro è stata la «profonda preoccupazione» per l’allineamento tra Cina e Russia.
L’unica cosa certa al momento è che Pechino non avrebbe sbattuto la posta in faccia a Mosca, dando invece la sua disponibilità. Ma i tempi non sono chiari. Nei cablogrammi inviati dal dipartimento di Stato americano agli alleati in Europa e in Asia, secondo il Financial Times, non è precisato né il livello né la tempistica dell’assistenza fornita. E Pechino ha liquidato la notizia con un’alzata di spalle. «Non ne ho mai sentito parlare», ha detto il portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, Liu Pengyu, rispondendo alle domande sulla presunta fornitura di armi. Di fronte all’atteggiamento di Putin che, come ha sottolineato la Casa Bianca, non dà alcun segnale di de-escalation, l’incontro tra Sullivan e «la tigre» - come viene chiamato Yang per la sua risolutezza - puntava quindi a convincere il Dragone ad evitare un passo che segnerebbe di fatto un punto di non ritorno. Anche nella consapevolezza del ruolo cruciale che la Cina può avere «nell’aiutare a mettere fine alla guerra». Non a caso il comunicato della Casa Bianca ha puntato l’accento sul fatto che Sullivan e l’inviato di Xi «hanno sottolineato l’importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione tra gli Stati Uniti e la Cina», definendo la discussione sulla guerra «sostanziale e di alto livello».
Del resto l’indiscrezione sulla disponibilità della Cina a fornire aiuto logistico e militare alla Russia ha spiazzato gli analisti americani, convinti che la reazione dell’Occidente ad un appoggio diretto di Pechino alla guerra di Mosca finirebbe per isolare economicamente anche il Dragone, attraverso nuove sanzioni. Pechino si trova poi di fronte ad una guerra che doveva essere fulminea e si sta invece trasformando in una prolungata strage. Una situazione che il Financial Times sintetizza con una vignetta: Putin allarga le braccia per accogliere il presidente cinese, ma ha le mani che grondano sangue e Xi si ritrae disgustato. Un auspicio, almeno. La trasferta romana di Sullivan si concluderà domani con un colloquio in mattinata con il consigliere diplomatico del premier Mario Draghi, Luigi Mattiolo, per fare il punto sul coordinamento in aiuto di Kiev.
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