«I dottori avevano portato i piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico di Mykolaiv nei rifugi da 5 minuti quando i bombardamenti russi hanno colpito l'edificio e grazie a Dio sembra che nessun bambino è rimasto coinvolto». Lo racconta all’Ansa il sindaco della città, Oleksandr Senkevych, seduto a fianco al suo Ak-47 nel tavolino di un ristorante sotterraneo adibito a bunker nel centro della sua città.
A poche centinaia di metri invece, tra i banchetti del mercato di Ploshad Pobeda, è andata molto peggio: a cadere dal cielo sono state delle bombe a grappolo, spiegano le autorità, che hanno ucciso 12 persone e distrutto una dozzina di negozi. Dentro il chiosco sventrato di un fioraio le pozze di sangue sono ancora visibili, a fianco la vetrata esplosa di un supermarket. Al momento dell’esplosione Daniel, 16 anni, era seduto alla cassa del negozio antistante, quando ha avvertito l'urto si è gettato sotto la sedia.
«Quando il rumore delle esplosioni è finito sono uscito è ho visto decine di persone a terra che chiedevano aiuto, alcune di loro erano morte, i loro corpi fatti a pezzi», racconta il ragazzo. A terra tra i banchetti ci sono ancora dozzine di schegge metalliche che sembrano confermare la tesi dell’utilizzo di munizioni a grappolo, armi vietate dalla convenzione di Ginevra. «Dal giorno in cui hanno colpito il palazzo dell’amministrazione i russi ci bombardano ogni giorno, con bombe a grappolo e missili guidati, fino ad ora sono morte 60 persone e oltre 300 sono rimaste ferite gravemente, tutti quanti civili», spiega Senkevych. Che insiste. «Nella mia ultima diretta social ho chiesto a donne e bambini di abbandonare la città e agli uomini di arruolarsi. Ormai è chiaro che i russi vogliono avanzare».
Dal punto di vista strategico Mykolaiv è importante per diversi motivi, ma soprattutto perché è l’ultimo bastione che separa il fronte da Odessa. «I russi devono farci capitolare per puntare su Odessa e chiudere per sempre all’Ucraina l’accesso al mare, occupare i nostri porti e strangolare la nostra economia», taglia secco il sindaco. La morte a Mykolaiv infatti arriva dal mare, i missili che continuano a colpire la città partono dalle navi della flotta del Mar Nero o dalla penisola antistante a Kherson, ancora occupata dai russi, spiega il portavoce delle truppe d’assalto della marina ucraina Dmytro Pletenchuk mentre cammina tra le pagine bruciate dei faldoni sparsi sotto al palazzo dell’amministrazione della regione di Mykolaiv, sventrato da un razzo russo la notte del 29 marzo. E divenuto uno dei monumenti più iconici di questa guerra.
«Abbiamo bisogno di sistemi antinave, spero che quelli promessi arrivino al più presto», continua Pletenchuk riferendosi alla promessa del premier Boris Johnson di mandare al più presto una fornitura di Harpoons di produzione britannica. Sulla strada che collega Mykolaiv a Odessa intanto i furgoncini partono carichi di donne a bambini e tornano vuoti. Gli uomini invece, a cui non è concesso partire, sono ormai quasi tutti coscritti nei battaglioni di difesa cittadina. Sul megaschermo del ristorante bunker il sindaco guarda in silenzio le immagini dei cadaveri di Bucha: «Ho mandato via tutti per evitare questo ai miei cittadini, non glielo permetteremo». Da giorni continuano ad arrivare furgoni di nuovi volontari racconta il sindaco: «Dopo Bucha nulla è come prima ma non cerchiamo vendetta, noi sappiamo bene quello per cui combattiamo e non abbiamo paura, a differenza dei soldati russi che non sanno perché sono qui ma sanno solo per conto di chi sono mandati a morire».
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