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Borodyanka non c'è più: un paese raso al suolo e 15 mila persone senza un tetto

Un’enorme nube di polvere accoglie volontari, soldati e gente dei villaggi che entrano in questi giorni a Borodyanka. Ormai la città è catalizzata intorno a una ruspa che continua a spostare le macerie e demolire gli scheletri dei palazzi: la osservano tutti seguendola attentamente, come se fossero loro a muovere quel braccio meccanico, che nei giorni scorsi ha anche disseppellito alcuni corpi e brandelli dal cemento. E poi ci sono donne che vanno e vengono per ritirare pane e alimenti nella scuola, diventata un punto di riferimento per gli sfollati alla ricerca di cibo.

Halina Yerko, deputata ucraina e figlia del sindaco, continua ad accogliere persone che crollano nel pianto tra le sue braccia: è un’empatia che dura da settimane. «Borodyanka e tutti i suoi ventidue villaggi sono stati quasi completamente distrutti dalla guerra. Dopo Mariupol, è la più danneggiata di tutta l’Ucraina. Scomparirà se l’Europa non ci aiuterà con dei fondi per la ricostruzione», spiega Halina, mentre in braccio tiene Denis, il figlio di un’amica che a tre anni mima divertito, inconsapevole della guerra, le rotte degli aerei che planavano sul suo palazzo. Il problema è dove andranno a vivere Denis e le altre 15 mila persone che popolavano il paese. «Il nostro ministero dello Sviluppo ha istituito una commissione per la ricostruzione - dice con formalità la deputata cambiando tono - e sta già chiedendo alle persone una conta dei danni. Sicuramente dovrà essere trovata una collocazione per costruzioni temporanee. Poi si vedrà, ma senza i soldi non si può fare nulla».

Del resto, a Mariupol serviranno dieci anni per la ricostruzione. Nella città, che contava 84 mila abitanti prima della guerra, inizialmente si pensava servissero 2-3 miliardi di dollari solo per rimettere in piedi alloggi e creare almeno le condizioni di vita di basilari. Poi il fabbisogno generale di ripristino delle infrastrutture è salito a 12,5 miliardi di dollari.

Nei piccoli quartieri dei paesi che quasi non esistono più si muovono soprattutto le squadre di pompieri. Alcuni incendi sono durati giorni anche dopo l’occupazione e nel frattempo, assieme alla polizia, si cercava di identificare i corpi che emergevano, muniti di fotocopie dei documenti delle persone che ancora non si trovano. Aleksandr Baran, vigile del fuoco, è venuto da Kiev a Borodyanka per dare una mano alla fine dell’occupazione dei militari russi: è un campione di firefighting, una disciplina sportiva nata proprio nella vecchia Unione Sovietica e che consiste in esercizi antincendio e simulazioni. Qui, dove invece è tragicamente tutto vero, Aleksandr confessa che è «più difficile, perché c'è troppa sporcizia», dice pulendosi agli zigomi il volto annerito.

I palazzi e le case della vicina Bucha, che ha pagato con centinaia di morti l’invasione delle truppe di Putin, sono invece stati colpiti da proiettili di kalashnikov e carri armati, ma non dalle bombe. Qui ci sono decine di volontari in pettorina arancione, gente del posto - muratori, medici, commercianti, contadini - che spazzano le strade dai vetri rotti andati in frantumi sotto l’artiglieria militare, ammucchiano e rimuovono le macerie di alcuni edifici o case colpite. «Siamo qui tutto il giorno a spalare la merda fatta dai russi - dice Volodymir sprezzante -. A Bucha ci vorranno ancora cinque anni prima che tutto si possa sistemare. Qualche negozio potrebbe ripartire tra un po’ di mesi, ma molti hanno paura che tornino i soldati. Intanto, si continuano a trovare cadaveri».

Servirà ancora molto tempo. Tanto che a Borodyanka per strada è rimasto un grosso blocco di fogli con le copie dei passaporti degli scomparsi, nel rottame di un frigorifero usato come contenitore: ormai sono solo carte inzuppate di pioggia e polvere. Tra un po’ il volto di quelle persone rischia di restare irriconoscibile anche sui documenti.

 

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