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La corsa al Quirinale, il centrodestra appeso al pallottoliere Berlusconi

Silvio Berlusconi

Pochi nomi e pochissime certezze. A un mese dal primo voto possibile del Parlamento sul Quirinale, la partita resta avvolta nella nebbia. Per tutti. E ancor di più per il centrodestra: il pericolo maggiore potrebbe essere il suo stesso candidato ombra su cui pesano numeri, dubbi e sospetti. Pur sbandierando unità e sostegno all’eventuale corsa di Silvio Berlusconi, i tre alleati sanno che i loro voti non bastano. Ne mancano una sessantina e in attesa della soluzione al rebus, la coalizione resta nel limbo.

Salvini chiede un vertice la prossima settimana

Forse anche per questo Matteo Salvini prova a smuovere le acque e annuncia che chiederà agli amici del centrodestra di vedersi, per parlarne, la prossima settimana. Disponibili sia Forza Italia sia il partito di Giorgia Meloni, che però rinvia l’incontro a dopo il voto sulla manovra, che dovrebbe arrivare in extremis a fine anno. I tempi di un vertice interno potrebbero quindi allungarsi e sfiorare il 4 gennaio, quando si saprà la data della prima convocazione dei Grandi elettori.

M5s e Pd dicono no al Cavaliere

Nel campo opposto le certezze convergono proprio sul no al Cavaliere. Non transige il ministro Stefano Patuanelli, a nome del M5s: «Sicuramente Berlusconi non avrà mai il voto di nessuno di noi». L’argomentazione chiave è il profilo politico dell’ex premier che non sarebbe «la figura di garanzia giusta per fare il capo dello Stato». Intransigente è pure il Pd, senza citare il leader di Forza Italia: «Il presidente della Repubblica deve essere garante dell’unità nazionale e permettere a questo Parlamento, così frammentato, di ritrovarsi sullo stesso profilo», è la conditio sine qua per il deputato Francesco Boccia. L’ex ministro aggiunge che bisogna concentrarsi su due priorità da completare (Pnrr e pandemia), dando una mano al governo. Anche se ammette: «Con Salvini al governo ci vuole tanta, ma proprio tanta, pazienza».

Il balletto della Lega

Di sicuro per la Lega la convivenza in una maggioranza così larga non è facile, né finora la scelta ha pagato alle elezioni. Da qui le continue oscillazioni tra l’anima barricadera e quella di governo. Si può leggere così anche il balletto di Salvini che un giorno sostiene apertamente il sogno di Berlusconi (e sembra stupirsi di un addio di Mario Draghi da Palazzo Chigi a febbraio, per il Colle), un altro lo frena. Il segretario suona ambiguo anche quando, nella città sua e di Berlusconi, ribadisce: «Sto lavorando perché si scelga in fretta. Non metto veti nei confronti di nessuno e tutti hanno titolo di presentarsi». Tradotto: anche Silvio è papabile ma allo stesso tempo, se tutti possono candidarsi, potrebbe farlo chiunque altro. Cresce così il sospetto che l’appoggio di Lega e FdI sia solo di facciata, per cui Berlusconi non si fiderebbe troppo minacciandoli con la rottura del centrodestra. Un retroscena smentito dal numero due di FI: «Il centrodestra compatto lo sosterrebbe», insiste Antonio Tajani che smonta pure l’obiezione su Berlusconi-uomo di parte: «Un presidente della Repubblica, una volta divenuto tale, abbandonerebbe la veste di capo di partito e sarebbe il garante della Costituzione». Un esempio fu Giuseppe Saragat, ammonisce. Meloni non entra nel dibattito e tira dritto concentrandosi sul voto anticipato, inevitabile - a suo avviso - dopo febbraio: «Con un nuovo presidente della Repubblica si dovrebbe tornare a elezioni, chiunque egli sia», scandisce la presidente di FdI alla Stampa. Un’ipotesi che aprirebbe un’altra crepa nel centrodestra: FI preferirebbe non tornare alle urne e forse nemmeno alla Lega converrebbe (più) troppo per calcoli elettorali.

Calenda propone il guardasigilli Cartabia

Intanto in sottofondo circolano più insistenti le voci di ambizioni concrete di Draghi allo scranno più alto, rimettendo in gioco tutte le carte. Come terza via tra Berlusconi e Draghi, spunta il nome della Guardasigilli, Marta Cartabia. A proporla è Carlo Calenda: «Noi continuiamo a pensare che sia la persona adatta», twitta il leader di Azione appellandosi a Iv e Pd e sposando l’’endorsement’ dell’Economist a Draghi premier fino a fine legislatura.

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