Una battaglia corpo a corpo per Mariupol. Dopo settimane di bombardamenti e assedio che hanno stremato la popolazione, con centomila persone in disperata attesa di un’evacuazione, e dopo gli attacchi dei droni con sospette armi chimiche per «stanare le talpe» nemiche, il conflitto nel luogo simbolo del martirio dell’Ucraina cala sempre più sul terreno, tra scontri a fuoco strada per strada nei meandri arroventati dell’acciaieria Azovstal, il gioiello dell’industria metallurgica della città trasformato nel quartiere generale dei suoi ultimi difensori, i tremila combattenti del battaglione Azov.
La resistenza non molla e anzi contrattacca, come a Odessa, da dove in serata sono stati lanciati due missili antinave Neptune che hanno colpito l’incrociatore «Mosc» della flotta russa del Mar Nero, provocando «gravissimi danni», secondo il governatore Maksym Marchenko. Sull'incrociatore, che trasporta 510 membri dell’equipaggio, si sarebbe sviluppato un incendio. Un’operazione dal forte impatto anche simbolico per Kiev, visto che si tratterebbe della stessa nave che aveva preso d’assalto l'Isola dei Serpenti, sequestrando i «marinai-eroi» che avevano rifiutato la resa.
Mentre si lotta senza sosta, la sfida parallela della propaganda di guerra si consuma sul morale delle truppe. Dopo che i separatisti filo-russi avevano rivendicato il «totale controllo» del porto - negato da Kiev ma riaffermato stasera da Mosca - la Russia ha dipinto un nemico ormai alle corde, piegato e sempre più demoralizzato. Al punto che 1.026 militari ucraini si sarebbero arresi, tra cui 162 ufficiali e 47 soldatesse. Secondo il portavoce della Difesa russa, il maggiore Igor Konashenkov, a cedere le armi sono state le truppe «della 36/ma brigata di marines, nei pressi dell’acciaieria Ilyich», da giorni al centro di un rimpallo via social di appelli disperati e smentite di una resa. E ancora una volta, Kiev ha smentito che abbiano ceduto. L’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky ha anzi rivendicato che alcune unità della stessa brigata sarebbero riuscite «con un’azione molto rischiosa» a serrare le fila con il reggimento Azov, raggiungendo i più accreditati difensori della città nel loro fortino.
A Mariupol la situazione umanitaria è intanto allo stremo. «I russi hanno distrutto gli ospedali e tutta la città. Questo è un genocidio lanciato da un criminale di guerra, Putin, contro la nostra nazione. Finché resisteremo, resisterà anche l’Ucraina», è il grido di dolore e orgoglio del sindaco Vadym Boychenko, che conferma il bilancio di «almeno ventimila» vittime civili e lo sforzo dei russi «di nascondere le prove delle atrocità commesse, utilizzando anche i forni crematori mobili». Dalla città assediata, oltre metà della popolazione rimasta cerca ancora di fuggire. Almeno centomila persone intrappolate, secondo le autorità locali, con scarse prospettive di evacuazione, visto che i corridoi umanitari continuano a restare di fatto bloccati, se non per poche iniziative con mezzi privati. Mentre il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha spiegato come «al momento non ci sia nessuna possibilità di un cessate il fuoco globale», né di una tregua localizzata per far allontanare i civili e portare aiuti in sicurezza. Una speranza potrebbe arrivare dalla Turchia, principale mediatore tra Russia e Ucraina, che ha fatto sapere di essere pronta a mettere «a disposizione navi per l’evacuazione di persone da Mariupol e resta in attesa di una risposta positiva».
L’offensiva russa continua nel frattempo a puntare sul Donbass, dove continua a bombardare e sta raggruppando le forze per tentare la spallata definitiva e prendere il controllo dell’intero territorio delle regioni di Donetsk e Lugansk. E’ soprattutto da queste zone che parte della popolazione è già stata «deportata» in Russia, secondo Kiev: oltre mezzo milione di persone, ha denunciato Zelensky, condotte con la forza in regioni remote del Paese, confiscandone documenti e oggetti personali, come i telefoni cellulari, e separando i bambini dai loro genitori per consentire alle famiglie russe di adottarli illegalmente. Se l’obiettivo strategico si concentra a est, Mosca torna a minacciare anche Kiev, da cui le sue truppe si sono ritirate lasciandosi alle spalle i massacri di Bucha e delle altre città satellite. La Difesa di Putin si è detta pronta a colpire i centri di comando nemici, anche nella regione della capitale, se l’esercito ucraino continuerà nei suoi tentativi di attaccare strutture in Russia.
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