La Casa Bianca ha espresso sdegno alle «notizie credibili» da fonti ucraine che lo staff della centrale nucleare di Chernobyl è stato preso in ostaggio da truppe russe, come ha scritto su Fb Alyona Shevtsova, consigliere del Comando delle forze terrestri ucraine. «Condanniamo e chiediamo il loro immediato rilascio», ha detto la portavoce Jen Psaki, aggiungendo che il loro sequestro potrebbe ostacolare gli sforzi per gestire l’impianto.
Era il 26 aprile 1986 quando il mondo si accorse di Chernobyl, assediata dalle truppe di Vladimir Putin che si sono date battaglia con le forze ucraine in un’area dove ancora si stima ci siano ancora oltre 200 tonnellate di scorie radioattive (tra corium, uranio e plutonio), sepolte dentro il sarcofago. Quella notte un’esplosione al reattore numero 4 della centrale nucleare, tra le località di Prypiat e Chernobyl, al confine tra l’Ucraina e la Bielorussia e a soli 130 km da Kiev, provocò quello che venne definito il più grave disastro nucleare della storia, primato poi tristemente affiancato da quello di Fukushima nel 2011. L’incidente sprigionò nell’atmosfera tonnellate di scorie radioattive e causò direttamente la morte di circa 30 persone, ma si stima che nel tempo le vittime siano state migliaia a causa delle malattie provocate dai radionuclidi.
Prypiat contava 45.000 abitanti e fu evacuata solo il giorno dopo con centinaia di bus: oggi è una città fantasma, abbandonata a se stessa lungo l’omonimo fiume che, passando per la Bielorussia, rientra in Ucraina per poi affluire nel Dnepr, il gigantesco fiume che taglia in due la città di Kiev. Neanche Chernobyl conta alcun abitante fatta eccezione per gli operai che ancora controllano «il mostro»: appena 3 anni fa quel che resta del reattore numero 4 è stato racchiuso in una gigantesca cupola d’acciaio, uno scudo protettivo da 36.000 tonnellate chiamato New Safe Confinement, che secondo le autorità ucraine dovrebbe limitare le fughe radioattive per almeno un secolo.
La zona di Chernobyl è ancora altamente contaminata, ma prima dello scoppio delle tensioni con la Russia attirava anche un macabro turismo. Da «inferno radioattivo» l’area è diventata - in assenza di urbanizzazione - un «paradiso» per la fauna selvatica, che ha trovato un habitat ideale nell’incolta zona boscosa. Dal 2016 è riserva naturale e Kiev la candida a diventare patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco.
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