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Vialli & Mancini, 312 gol in due nella Samp: storia di vittorie e di amicizia, fino all'abbraccio di Wembley

I gol. La Samp. L’amicizia. una storia unica e insieme paradigmatica quella di Gianluca Vialli, morto oggi a 58 anni, e Roberto Mancini. Li chiamavano i «gemelli del gol», ed erano molto di più di un binomio alla Pulici-Graziani dei tempi Toro. La forza acrobatica e il talento raffinato, 312 gol in due con la maglia Samp, eppure i numeri non bastano a definire la coppia più coppia che il calcio italiano abbia mai conosciuto.

La raccontò molto meglio quell'abbraccio di Vialli all’amico ct, Mancini, l’11 luglio del 2021 sull'erba di Wembley dopo l'Europeo vinto: Gianluca era già malato, ma aveva messo a disposizione dell’amico di sempre il carisma e il suo coraggio nel dolore per fare da guida morale a un gruppo di calciatori nei quali probabilmente si era rivisto. E aveva ottenuto la rivincita, sul campo dove nel '92 insieme con Mancini aveva perso in finale di Coppa Campioni col Barcellona di Cruijff. «È stato qualcosa di speciale c'era tutto, anche la paura che avevamo lui e io per le mie condizioni», raccontò a Che Tempo che fa Vialli, al fianco di Mancini. «Eravamo giovani in quella Samp, poi la nostra gioventù è finita e in quell'abbraccio si chiudeva il cerchio: gli volevo bene da ragazzo, e gliene voglio di più in quell'abbraccio speciale», aveva detto il ct, che stasera è giunto in Qatar per un viaggio programmato da tempo, dopo esser partito in tarda mattinata.

L’ultimo incontro con Vialli al suo capezzale a Londra, era stato nei giorni prima di Capodanno. Ed era il cerchio che si chiudeva. I ricci di Gianluca, centravanti, classe 1964, cresciuto con la maglia grigiorossa della Cremonese, e il ciuffo di Roberto, talento approdato alla corte di Mantovani a 17 anni. Si erano incrociati nelle nazionali giovanili, si conoscevano da quando avevano 15 anni e in blucerchiato fu amore a prima vista, per un sodalizio capace di andare oltre le consuete intese tecniche, ma anche di superare individualismi, incomprensioni, momenti no. Una coppia di attaccanti e compagni, ma non solo.

«In quella Sampdoria c'era un fil rouge: ci divertivamo, sempre», ha raccontato Mancini ne La Bella Stagione, docufilm di Marco Ponti che ha scavato nella storia della Sampd’Oro di Mantovani e Boskov. «Eravamo innamorati uno dell’altro», ha poi aggiunto, senza far torto al gruppo di amici nell’ammettere che l’innamoramento con Vialli era altra cosa. «Eravamo come fratelli». Dopo due coppe Italia vinte e una nomea di eterne promesse, arrivò nell’89 l’offerta Milan per Vialli. Il no di Mantovani portò a uno storico patto nello spogliatoio doriano, protagonisti appunto Mancini e Vialli (più Vierchowood): nessuno se ne andrà finché non si vince lo scudetto.

E scudetto fu nel 1991. «Ricordo il Samp-Pisa del novembre '90 - rivela Lombardo - Gianluca rientrava da un lungo infortunio, eravamo sul 2-0: Roberto scarta mezza squadra avversaria e arriva davanti alla porta vuota. Ma passa il pallone all’amico Vialli, per farlo tornare al gol». In fondo, solo un suggello all’amicizia. Coltivata il giovedì nelle cene di squadra dove si giocava a carte e si sceglievano le maglie, compresa quella tra verità e leggenda fatta in cachemire. «I miei compagni non lo ricordano, ma le feci fare io per affrontare il gran freddo che allo stadio veniva dal mare», raccontò un giorno Vialli. Poi Mantovani se ne accorse, e si tornò alla normalità. Senza togliersi di dosso quell'eleganza innata, non solo calcistica.

Mancini e Vialli hanno continuato a vivere come gemelli anche da lontano. Strade opposte, analogo approccio alla vita. Anche quando la malattia è stata vissuta dal secondo in solitudine («Non mi ha avvertito direttamente, perchè le nostre telefonate frequenti sono solo per cazzeggiare, come ai tempi Samp», svelò Mancini). Tranne poi ritrovarsi per un pezzo del cammino in Nazionale. Lì i gemelli del gol sono tornati a vincere insieme, e a volersi «ancora più bene di prima» nei momenti di dolore, come scrisse Vialli su Instagram quando la nazionale stava per rimanere fuori dal Mondiale e il suo capodelegazione aveva ricominciato la partita più difficile. Sempre col sorriso di chi sa di avere un amico.

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