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Zelensky rinuncia ad entrare nella Nato, ma a Putin non basta: «L'Ucraina non è seria»

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un appello alla TV

L’Ucraina accetta ormai il fatto che non potrà entrare nella Nato, ma chiede garanzie per la propria sicurezza riservandosi il diritto di stringere patti con singoli Paesi. Si va delineando, attraverso le parole del presidente Volodymyr Zelensky, la posizione di Kiev nelle trattative per la fine della guerra. Ma Vladimir Putin gli risponde con una chiusura: «L’Ucraina non mostra di voler seriamente trovare soluzioni mutualmente accettabili», ha affermato il capo del Cremlino in una telefonata con il presidente del Consiglio Ue Charles Michel.

Certo, anche le posizioni più dure possono essere interpretate come mosse tattiche per ottenere di più nelle trattative. Ma è evidente che il negoziato continua in salita, nonostante lo stesso Zelensky mostri ottimismo, assicurando che i colloqui tra le delegazioni russa e ucraina, proseguiti anche oggi in videoconferenza, stanno andando «abbastanza bene» e che una nuova sessione è prevista per mercoledì. Quanto al ruolo dei mediatori internazionali, il presidente ucraino ha sottolineato l’importanza del colloquio avuto lunedì con il primo ministro israeliano Naftali Bennett, che ha parlato anche con Putin. Mentre il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu è arrivato in missione a Mosca per poi dirigersi a Kiev.

Nella capitale ucraina sono arrivati, in treno, anche i premier di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, tre dei Paesi Ue considerati più intransigenti verso Mosca, per riaffermare, ha sottolineato Varsavia, «l’inequivocabile sostegno dell’intera Unione Europea alla sovranità e all’indipendenza dell’Ucraina». Ma su questo sostegno generale Zelensky esprime polemicamente più di un dubbio. In particolare per il rifiuto della Nato di istituire una no-fly zone sull’Ucraina. Alcuni Paesi dell’Alleanza, ha osservato il presidente, sembrano “ipnotizzati» dalla Russia. «Le sanzioni che avete imposto non hanno fermato la guerra», ha detto in un intervento in video al Parlamento canadese, rivolgendosi direttamente al premier Justin Trudeau. «Noi vi chiediamo di fermare le bombe e voi ‘esprimete la vostra profonda preoccupazione e ci chiedete di resistere ancora un pò?».

Le armi che gli alleati occidentali forniscono all’Ucraina «in una settimana ci durano per 20 ore», per questo siamo costretti a «riutilizzare gli equipaggiamenti sottratti ai russi», ha messo in chiaro Zelensky anche con i leader dei Paesi nordici e baltici della Joint Expeditionary Force, radunati in mattinata a Londra dal premier britannico Boris Johnson. «Aiutandoci, aiuterete voi stessi», ha insistito il presidente ucraino per poi aggiungere accorato: «Sapete di quali armamenti abbiamo bisogno, lo sanno tutti».

Intanto il capo dei negoziatori ucraini, Mikhailo Podolyak, ha fatto sapere che i contatti diretti con i russi procedono su “questioni di regolamentazione generale, cessate il fuoco, ritiro delle truppe dal territorio del Paese». Ma tocca a Zelensky tracciare le linee dello scenario più ampio verso cui si muove Kiev, a partire dalla rinuncia alla Nato. «Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo», ha affermato il presidente. L’Ucraina ha però bisogno di «garanzie di sicurezza a lungo termine» e quindi «se non possiamo entrare attraverso queste porte, dobbiamo cooperare con coloro che ci aiuteranno».

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sottolineato che è necessario continuare a parlare con Putin, mentre la Cina ha invitato ancora una volta alla «massima moderazione». Ma a farsi sentire in modo assordante è ancora la guerra delle sanzioni. Gli Stati Uniti hanno adottato nuove misure contro la Russia e hanno preso di mira anche il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, fedele alleato di Putin. Mosca ha risposto con una raffica di misure personali anche contro il presidente Joe Biden e il premier canadese Trudeau che prevedono il divieto d’ingresso in Russia e il congelamento dei beni. Unico segnale almeno in parte distensivo è stato l’annuncio del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che, ricevendo il suo omologo iraniano Hossein Amir-Abdollahian, ha detto di aver ricevuto da Washington «garanzie scritte» che le sanzioni imposte a Mosca non impediranno la sua piena ripresa della cooperazione con Teheran se verrà firmato l’accordo per la riattivazione dell’intesa internazionale sul nucleare iraniano. La prospettiva di un accordo e quindi del ritorno del petrolio iraniano sul mercato ha contribuito a far crollare di oltre il 7% il prezzo del greggio, sceso sotto i 100 dollari al barile per la prima volta da tre settimane.

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