Seconda ondata di raid aerei in Siria. Secondo quanto riportano Cnn, Nbc e Cbs, caccia americani avrebbero colpito due nuovi obiettivi dell'Isis a sudest della citta' di Raqqa. Sarebbe stato preso di mira anche un obiettivo in Iraq.
La coalizione internazionale ha attaccato nella notte postazioni dell'Isis vicino alla città curda di Ain al-Arab in Siria. Lo riferisce la Ong, Osservatorio siriano dei diritti umani: "Prima e dopo la mezzanotte aerei venuti dalla Turchia hanno lanciato diversi attacchi su postazioni e vie di rifornimento dell'Isis".
Vertice tra Obama e Paesi arabi coinvolti in raid Siria
Si e' svolto a New York l'annunciato vertice tra il presidente americano e i rappresentanti dei cinque Paesi arabi che hanno preso parte alla prima ondata di raid aerei in Siria. Nel corso dell'incontro - organizzato dal segretario di Stato Usa John Kerry a margine dell'Assemblea generale dell'Onu - Barack Obama ha ringraziato Arabia Saudita, Emirati Arabi, Giordania, Barhein e Qatar per il loro sostegno alla lotta contro l'Isis.
Raid contro l'Isis in Siria, "sventato attacco agli Usa"
Una pioggia di bombe si è abbattuta la notte scorsa sullo Stato islamico in Siria e anche in Iraq. Gli Usa, con il sostegno di cinque Paesi arabi, hanno lanciato raid massicci colpendo anche dal mare con 47 missili Tomahawk e allo stesso tempo hanno martellato un gruppo di veterani di al Qaida che sempre dalla Siria complottava contro l'America e i suoi alleati: "E' stato un successo", ha affermato il Pentagono dopo i primi attacchi in territorio siriano, mentre il Commander in Chief Barack Obama ha ribadito che gli Usa "non tollereranno che i terroristi trovino rifugi sicuri".
"Lo sforzo complessivo richiederà tempo", ha detto Obama in una breve dichiarazione prima di partire per New York per partecipare all'Assemblea generale dell'Onu, "ma faremo ciò che serve per combattere questo gruppo terrorista, per la sicurezza del Paese, della regione e del mondo intero". Al Congresso Obama ha comunicato che al momento "non è possibile sapere quale sarà la durata" delle operazioni in Siria e in Iraq, dove dall'8 agosto le forze Usa hanno condotto quasi 200 raid aerei. Quelli condotti la notte scorsa con l'assistenza o sostegno diretto di Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Bahrein hanno colpito decine di "postazioni, campi per l'addestramento, centri di controllo e comando, depositi di armi e munizioni, mezzi militari e anche un centro finanziario sparsi in quattro diverse province siriane, ma in particolare nella regione di Raqqa, dove il 'califfo' Abu Bakr al Baghdad ha stabilito la sua 'capitale'.
Non ci sono al momento indicazioni sui risultati ottenuti, ma fonti dalla Siria parlano di almeno 120 jihadisti uccisi. Fonti mediche a Kfar Deriyan riferiscono anche di due donne e sette bambini rimasti uccisi. Né ci sono indicazioni sui danni subiti dai veterani di al Qaida che si sono riuniti nel gruppo noto col nome Khorasan che secondo il Pentagono "si preparavano a colpire l'America e i suoi alleati" e contro cui gli Usa hanno condotto "separatamente" otto raid. Voci non confermate, rimbalzate sui social media, sostengono che il leader del gruppo, il kuwaitiano Muhsin al Fadhli, sarebbe rimato ucciso. Ma c'e' anche chi sostiene che si tratta di una informazione fatta circolare di proposito da parte dello stesso gruppo qaedista per permettere ad Al Fadhli di sfuggire alla caccia degli Usa e dei Paesi arabi che partecipano agli attacchi. In ogni caso, il presidente Obama ha affermato che "abbiamo sventato un complotto di al Qaida in Siria contro gli Stati Uniti e i nostri alleati", mentre in serata fonti di intelligence citate dalla Cnn hanno rivelato piani per attentati con bombe nascoste sugli aerei: sarebbero stati utilizzati dentifrici e abiti esplosivi. Un notevole successo è stato comunque già raggiunto dal punto di vista diplomatico. Non a caso Obama nella sua dichiarazione ha sottolineato la partecipazione dei cinque Paesi arabi, di cui incontrerà personalmente all'Onu i rappresentanti a margine dell'Assemblea Onu.
"La forza di questa coalizione - ha detto il presidente - mette in chiaro davanti al mondo che questa non è una battaglia solo dell'America". E dal mondo finora si sono levati ben pochi commenti negativi, tra cui spiccano giusto quelli di Russia e Iran. "Azioni simili possono essere effettuate esclusivamente nel quadro del diritto internazionale, che prevede l'accordo esplicito del governo siriano oppure una decisione del consiglio di sicurezza dell'Onu", ha affermato Mosca. Il presidente iraniano Hassan Rohani a sua volta ha detto che i raid di Usa e alleati in territorio siriano devono essere considerati un attacco alla Siria, perché compiuti senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu o il consenso di Damasco.
Il leader dell'Onu Ban Ki-moon ha dal canto suo notato che "i raid hanno avuto luogo in aree non più sotto il controllo del governo di Damasco" e ha sottolineato che "proteggere la popolazione siriana richiede un'azione immediata, ma tale azione deve essere radicata nei principi delle Nazioni Unite". A smorzare le polemiche è però intervenuto proprio il presidente siriano, Bashar al Assad, affermando che la Siria sostiene ogni sforzo internazionale per combattere il terrorismo, dando così di fatto un implicito consenso. Gli Usa avevano comunque informato l'ambasciatore siriano all'Onu alcune ore prima, ha poi fatto sapere Damasco. Una dichiarazione che ha indotto il Dipartimento di Stato a precisare a stretto giro che Washington ha informato la Siria ma "non ha chiesto alcun permesso". In realtà hanno giusto "ammonito la Siria a non affrontare gli aerei americani".
L'ammonimento deve essere stato recepito, visto che il regime di Damasco dispone di potenti sistemi di difesa antiaerea e il Pentagono ha fatto sapere che "tutti gli aerei hanno fatto ritorno alla base senza problemi". Nessuna reazione invece finora da parte dell'Isis, a parte la diffusione di un secondo video di propaganda in cui il reporter britannico tenuto in ostaggio, John Cantlie, afferma che i Paesi occidentali si stanno imbarcando in una "terza guerra del Golfo", evocando il rischio di un nuovo Vietnam.
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