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Quota 41 con soglia di età, nuova ipotesi per le pensioni: tramonta l'idea di uscire a 58 anni

La riforma delle pensioni è uno degli aspetti caldi su cui il probabile governo Meloni sta già riflettendo. Sul tavolo una serie di ipotesi per il superamento della legge Fornero. Il 31 dicembre 2022, infatti, scadrà "Quota 102", il che riporterà in vigore la norma voluta dall'ex ministro del Lavoro nel governo guidato da Mario Monti.

"Quota 41" ma con una soglia di età

L'ultima ipotesi è la "Quota 41" ma con una soglia di età. Appare invece meno percorribile la strada di una cosiddetta "Opzione uomo", con la possibilità di andare in pensione a 58 anni (aspettando comunque un anno di finestra mobile) in base al solo sistema contributivo e con una decurtazione dell'assegno.

L'opzione sul tavolo permetterebbe di ridurre anche di molto l'impatto previsto da "Quota 41", che, come ipotizzata finora, richiederebbe circa 5 miliardi l'anno. Tutto dipende comunque da quale sarà la soglia che verrà individuata e dai calcoli che verranno fatti dall'Inps. Se però si dovesse fissare la soglia a 60 anni, o a 61, non si farebbe che replicare Quota 101, oppure l'attuale Quota 102. Non convince intanto l'idea di replicare, in chiave maschile, la flessibilità in uscita con assegno ridotto, già previsto da Opzione Donna.

Opzione Donna

Al momento secondo i dati Inps hanno scelto di andare in pensione con Opzione Donna circa il 25% delle persone che avevano i requisiti (58 anni le dipendenti e 59 le autonome avendo però maturato almeno 35 anni di contributi e avendo l'assegno calcolato interamente con il sistema contributivo), ma per gli uomini la percentuale di adesione potrebbe essere ancora più bassa.

Se infatti si decidesse di uscire a 58 anni (con assegno che arriva comunque a 59 dato che bisogna attendere l'anno di finestra mobile) si perderebbe circa il 30% della pensione che si sarebbe maturata uscendo oltre sette anni dopo (con 42 anni e 10 mesi di contributi) perché i contributi versati sarebbero meno e andrebbero "spalmati" su molti più anni.

In pratica, secondo alcuni calcoli, si avrebbe a che fare con un primo assegno di pensione pari a circa la metà dell'ultimo stipendio. Una opzione che chiaramente potrebbe apparire poco appetibile nell'attuale contesto caratterizzato da un deciso aumento dei prezzi e nel quale rinunciare a una parte dell'assegno pensionistico diventa ancora più complicato per un uomo che, quasi sempre, ha il reddito più alto in famiglia.

Un approccio che evidentemente diventa più abbordabile solo per la parte di popolazione più benestante, con redditi alti. In pratica - stando ai calcoli - se a fronte di uno stipendio netto di 3mila euro si riceve uscendo con grande anticipo dal mercato del lavoro una pensione di circa 1.500 euro al mese per 13 mensilità se lo stipendio netto è di 1.500 euro la pensione sarebbe di circa 750 euro mettendo una famiglia senza altre rendite e redditi in una situazione di bisogno. Visto sul fronte dei conti pubblici, l'intervento richiederebbe inoltre un finanziamento per i primi anni di attuazione: anche se si passa ad un regime contributivo si anticipano gli esborsi pensionistici da parte dello Stato. Si porrebbe dunque il problema della spesa corrente che cresce, anche se nel lungo periodo il sistema resterebbe in equilibrio.

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