«Aveva solo 18 anni. E io 14. Ci conoscemmo a Napoli, a un programma per bambini. Sessant’anni fa. Scoprivamo il mondo insieme, in un’epoca in cui noi giovani artisti non avevamo Internet e ogni show all’estero diventava un modo per esplorare». Passano rapidi i ricordi di una vita. In Messico, in Cile, in Argentina. Russia, Canada, Spagna. Raffaella Carrà catalizzava l’attenzione del pubblico in ogni angolo del pianeta. E accanto a lei quel ragazzo che era esploso al suo fianco. Grazie al Tuca Tuca, soprattutto.
«Nacque per gioco - ricorda il coreografo Enzo Paolo Turchi, il caschetto d’oro che a Canzonissima ballava accanto a Raffaella Carrà - ed è diventato un successo planetario. Eravamo a casa di Raffaella, l’idea venne a Gianni Boncompagni e doveva essere il balletto di una sola puntata. C’era anche Gino Landi quella sera, lo preparammo senza immaginare che sarebbe entrato nel Guinness dei primati».
Era il 1971. E l’Italia scopriva l’ombelico della Carrà in tv.
«Fisicamente Raffaella era una ragazza normale, non aveva le forme di altre dive. Ma era molto, molto più sexy di tutte. La prima volta che fece vedere l’ombelico, gli italiani persero la testa. La gente impazziva per lei. Andavamo in tournée d’estate negli stadi e dovevamo proteggerla dagli assalti del pubblico. Una volta a Cagliari i suoi ammiratori sembravano ultras del calcio, si catapultarono sul palco addosso a lei ed io intervenni subito per tirarla fuori, la presi in braccio e la portai in salvo. Amavamo anche fare spettacoli in Sicilia, il calore della gente, tanto che a Palermo, assieme a Carmen Russo, mia moglie, io successivamente ho aperto un’accademia di danza».
Raffa non si è mai montata la testa.
«Ricordo un programma in cui Carmen la imitò. Lei chiamò in diretta per complimentarsi. Con quella spontaneità che era una delle sue doti migliori. E quando è nata nostra figlia, ci ha telefonato e poi ci ha inviato uno splendido regalo, un angelo d’argento. Una volta in Spagna stavamo andando a fare uno spettacolo e la strada era bloccata. Lo show doveva iniziare, i ballerini erano pronti. Lei fermò un signore con una vespa e quello l’accompagnò fin sotto il palco. Era una grande star, ma manteneva la sua semplicità».
Cosa ha rappresentato per lei Raffaella Carrà, umanamente e professionalmente?
«Era come una sorella, dividevamo tutto, le difficoltà e i momenti felici. Disagi all’epoca ne dovevamo affrontare tanti. Ma niente ci scoraggiava, eravamo professionali, l’arte veniva sempre al primo posto, non a caso le nostre carriere sono state così lunghe. Ci raccontavamo i problemi personali e anche quelli lavorativi».
Cosa la distingueva dagli altri?
«Io ho avuto la fortuna di lavorare con artisti di calibro internazionale, da Barry White a Frank Sinatra. Ma il carisma che aveva Raffaella non lo ricordo in nessuno. Quando c’era lei, la gente accorreva in massa».
La notizia è arrivata all’improvviso. Come ha reagito?
«Sono distrutto. L’ho sentita meno di un mese fa, le ho fatto gli auguri per il compleanno. Non mi aveva detto niente della malattia. Non riesco a credere che se ne sia andata. Per fortuna mi legano a lei tanti ricordi. Soltanto ricordi belli».
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Persone:
Caricamento commenti
Commenta la notizia