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Il disastro azzurro: processo al sistema calcio, l'Italia affronta l'anno zero

Il fallimento della Nazionale di Spalletti a Euro 2024 impone un cambiamento

La tempesta perfetta. L’Italia che saluta nel peggiore dei modi Euro 2024 è all’anno zero. Due edizioni dei Mondiali senza gli azzurri, la Champions che non entra nella bacheca di un club italiano da 14 anni, i giovani che non giocano in Serie A, le riforme sempre promesse e mai arrivate, gli stadi mai rinnovati fanno di questo il punto più basso del sistema calcio in Italia. Inevitabile il processo, non fosse altro che per individuare la cause e ripartire.

«Spalletti ha la nostra fiducia e non ha senso interrompere un progetto pluriennale. Quanto a me non scappo davanti ai problemi: non è la politica a poter chiedere le dimissioni, ci sarà un’assemblea elettiva», è stata la risposta di Gabriele Gravina, presidente della Figc, a quanti sono convinti che - al netto del diverso peso di responsabilità della coppia - le dimissioni di due permetterebbero di ripartire

Ma non è rinviabile, ammettono gli stessi protagonisti della disfatta, una riflessione sul calcio italiano che non c’è più, sulla perdita di interesse dello sport più amato e seguito, sull’incapacità di rinnovarsi e di competere ad alto livello come vuole la sua storia felice.

Una riflessione che deve partire da lontano e che ha visto nel trionfo di Wembley nel 2021 solo un modo per nascondere i veri problemi del sistema e ritardarne le soluzioni. Il giorno dopo l’eliminazione dell’Italia, riecheggia nella memoria la fuga improvvisa e inaspettata del ct campione d’Europa in carica, Roberto Mancini, che tra i segnali di cedimento, il rischio di un flop azzurro e le sirene arabe ha detto addio spiazzando la federazione in un incredibile pasticcio di metà agosto. Così Gravina ha virato sull’uomo forte del momento, Spaletti, sperando che peso e carattere potessero sopperire alla mancanza di tempo.

Tra le falle del sistema, è altrettanto inevitabile chiedersi dove siano le riforme promesse, a partire dal sistema elettorale che non funziona a livello di pesi e rappresentanze. La Lega di A ne chiede di più, la Federcalcio di Gravina rimprovera ai club di non aver a cuore gli interessi della nazionale. E il lavoro di sintesi della Figc si è arenato, con l’assemblea per le riforme già convocata da Gravina e poi annullata dallo stesso presidente. A conti fatti, a fronte di un sistema «industriale» e tecnico in crisi, sembra diventato impossibile cambiare il calcio italiano bloccato da tecnicismi, personalismi e interessi contrapposti, con litigiosità controproducenti anche all’interno dei club tra tante difficoltà a tenere alto l’interesse (e gli investimenti) dei broadcaster tv per il prodotto calcio. È di pochi giorni fa l’emendamento Mulè al dl Sport che introduce il principio della forte autonomia in stile Premier per la Lega di A. Uno dei segnali della voglia di intervento diretto della politica, che spesso ha puntato il dito contro Gravina, come dimostrano le ultime parole di Matteo Salvini; d’altra parte a creare turbolenze attorno al n.1 Figc c’e anche l’indagine nata per il caso Striano-Laudati, dal quale è derivata per Gravina - una delle persone interessate all’accesso a banche dati protette - un’iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma, con l’ipotesi di autoriciclaggio.

Se il livello dei calciatori azzurri ha deluso le aspettative, non può essere certo solo per «la condizione» fisica o la «gamba» del momento, come dice il ct, o per gli errori di Spalletti stesso, che non vuole aprire il discorso dei se e dei ma, però scelte come quelle di Jorginho o Cristante, per non parlare di Di Lorenzo, le ha sbagliate. Ne è nata una girandola di scelte tattiche disorientanti, chiaro sintomo che l’identità azzurra ancora non c’è, che sia per il poco tempo a disposizione («altri ct hanno avuto 20-30 partite per sperimentare») o per il materiale tecnico.

Di sicuro, manca una «masia» del calcio italiano, a dispetto dei risultati delle giovanili azzurre, e quando il vivaio c’è salta il collegamento col calcio di vertice. Si torna insomma ai problemi di sistema: è indubbio che le regole del gioco sono sempre le stesse anche se, ad esempio, in Serie B si è tentato di cambiare le cose sui premi ai giocatori e il numero di giovani italiani da mettere in campo. E anche se l’Under 17 campione d’Europa fa ben sperare, è netta la sensazione che si stia facendo poco per permettere alle giovani promesse di sbocciare a grandi livelli dalla Serie A a palcoscenici internazionali.

In questo senso è emblematica l’indagine della De Agostini, secondo la quale il mestiere di calciatore non è più in cima ai sogni dei bambini: può sembrare un elemento a discolpa per il sistema ma diventa un’aggravante se ci si chiede cosa fa la politica federale per mantenere l’appealing del calcio: a partire dagli inizi, tra scuole e accademie, che somigliano più che a un apprendistato a un gigantesco, diffuso affare. E se, come detto anche dal ct Spalletti dopo la delusione dell’eliminazione a Berlino, serve cambiare per guardare con ottimismo al futuro, bisognerà vedere in che modo, con quali persone e con che prospettive.

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