C’è chi si dichiara baldanzosamente «nemico di Mario Draghi» ma anche chi azzarda di citarlo nel simbolo, ad insaputa dell’interessato, e ora rischia l'annullamento del contrassegno.
La tre giorni al Viminale per il deposito dei simboli si è conclusa ieri: 101 quelli consegnati da 98 soggetti politici che ora finiranno al vaglio dell’istruttoria del Viminale. In 48 ore, entro domani, 16 agosto, verranno notificati gli ammessi e i ricusati, poi ci saranno altre 48 ore per presentare eventuali integrazioni, modifiche o ricorsi. La Cassazione avrà quindi altre 48 ore per decidere sui ricorsi e il ministero dell’Interno entro il 20 agosto comunicherà alle Corti di Appello i nomi dei rappresentati per le liste. Dopodiché i partiti «promossi» dovranno presentare, il 21 e 22 agosto, la lista dei candidati nei tribunali e nelle Corti d’appello dei capoluoghi. Nel 2018 per la scorsa tornata elettorale furono depositati 103 simboli e dopo averli vagliati il Viminale ne ammise 75. Insomma la corsa alle urne entra nel vivo, la presentazione dei simboli è solo la partenza.
L’ultima giornata del deposito è stata meno convulsa delle due precedenti: arriva per primo il contrassegno di Italia sovrana e popolare portato da Marco Rizzo, Antonio Ingroia ed Emanuele Dessì che scandiscono, a scanso di equivoci, «il nostro nemico è Draghi e il sistema che ha chiuso gli italiani in casa». Poi spazio a Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e leader della lista «Referendum e democrazia con Cappato», che ha ribadito di volere «raccogliere le firme per la candidatura solo con modalità digitale». Diversamente «i ricorsi sono già pronti a partire». È stato il turno anche dell’altro gruppo degli ex radicali, ovvero quello di Più Europa col contrassegno uguale a quello del 2018, ovvero col nome di Emma Bonino, indicata anche come capo politico.
Nei giorni precedenti anche i partiti dei big avevano ribadito i simboli tradizionali, a partire da Fratelli d’Italia che ha confermato la fiamma nel logo, «di cui andare fieri», ha detto Meloni. E ancora «il rosso cuore» per M5S - ma senza il nome di Conte -, contrassegno finito in bacheca accanto a quello degli ex alleati del Pd, anche col loro con il logo «tradizionale» ma l’aggiunta di Italia democratica e progressista. Anche la Lega ha optato per lo stesso logo del 2018, con la scritta «con Salvini Premier». Non cambia contrassegno Forza Italia, che riporta la scritta «Berlusconi presidente».
Poi il terzo polo di Calenda e Renzi, con il nome del leader di Azione nel contrassegno. Il richiamo più gettonato nei simboli è sicuramente quello alla vecchia Dc, che tradisce la voglia di centro, almeno nelle proposte: da Libertas allo scudo crociato di «Noi moderati» a «Noi di Centro» di Clemente Mastella che rivendica di essere Dc doc, «l'ultimo erede, ancora presente nelle istituzioni democratiche, dei valori della Democrazia Cristiana».
Tra l'amarcord dei simboli della Prima Repubblica anche il garofano rosso del Nuovo Psi di Stefano Caldoro. Non sono mancate naturalmente le stravaganze, dal Sacro Romano impero cattolico al Partito della Follia del sedicente sessuologo dottor Seduction. E ancora la Rivoluzione Sanitaria di Panzironi, quello della presunta dieta-curativa, i Gilet Arancioni e i Forconi, Vita della no vax Sara Cunial, il Partito delle Buone Maniere. A sfilare anche conoscenze che hanno già tentato la via politica come Adinolfi, l’ex Casapound Di Stefano e l’ex magistrato Luca Palamara. La corsa verso le urne è già iniziata.
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