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Il M5S non vota la fiducia sul decreto Aiuti, Draghi da Mattarella

Lo strappo dei Cinquestelle sul decreto Aiuti alla Camera rischia di aprire le porte al Senato ad una pericolosa partita che potrebbe mettere in crisi maggioranza e governo. La decisione di non votare il dl nel suo complesso a Montecitorio (che ha comunque ricevuto l’ok con 266 sì) potrebbe essere replicata anche a Palazzo Madama dove è previsto il voto congiunto con la fiducia. E al momento non sembrano esserci segnali di distensione da parte di Giuseppe Conte che ne fa una questione di coerenza e linearità dei pentastellati.

I partiti della coalizione entrano in fibrillazione. Silvio Berlusconi chiede una verifica di maggioranza e Matteo Salvini appoggia la richiesta. Nel pieno del caos parlamentare il premier Mario Draghi sale al Colle per fare il punto sulla situazione. Tra i temi sul tavolo quanto accaduto alla Camera e quanto potrebbe accadere al Senato giovedì. Una prospettiva complessa, di cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha voluto commentare eventuali scenari. Il premier, che ha già chiarito che il governo «non si fa senza i Cinquestelle», nel frattempo continua a lavorare per la ricucitura della sua maggioranza. E Palazzo Chigi non intende commentare né il possibile non voto del Movimento al Senato, né la richiesta di una verifica di maggioranza. In vista dell’appuntamento a Palazzo Madama, Forza Italia si rivolge a Draghi puntando il dito contro il Movimento e chiede una verifica di maggioranza per «sottrarsi a questa logica politicamente ricattatoria».

Per evitare di dover affrontare un gigantesco nodo politico, continuano incessanti i tentativi di mediazione: il Pd fa appello alla serietà e alla responsabilità di tutti e ripone le sue speranze nell’incontro di domani tra Draghi e i sindacati. In questa occasione saranno affrontati diversi temi di peso che si incrociano con il documento presentato dai Cinquestelle: dai minimi salariali per combattere il «lavoro povero» al taglio del cuneo fiscale. La priorità deve essere data all’agenda sociale - spiegano fonti del Nazareno - e non a mere questioni politiciste. Quella di non votare oggi alla Camera il dl aiuti «era una decisione già chiara, c'è una questione di merito che avevamo anticipato, quindi nulla di nuovo», commenta il leader del M5s Giuseppe Conte. Che però non risponde né su quello che accadrà al Senato, né sulla verifica chiesta da FI e Lega.

Matteo Renzi avverte: «Se non c'è più il Movimento, per me si può andare avanti anche senza, ma bisogna vedere se ci sono la volontà e i numeri, e su che cosa». Per FdI «ora l’emergenza è andare a votare». Il premier è animato da una volontà molto pragmatica di trovare terreni d’incontro perché in un momento come questo il Paese non terrebbe una crisi - si ragiona in ambienti parlamentari - ma non ci starà a farsi logorare. Anche perché non c'è solo il rebus dei 5s: la Lega, dopo aver detto sì al dl aiuti, ha chiarito la sua posizione senza mezzi termini, facendo l’elenco di ciò che non voterà: «La droga facile, la cittadinanza facile, l’immigrazione e gli sbarchi facili, il ritorno alla Fornero o la riforma del catasto ai valori di mercato. Saremo responsabili sui temi economici e gli aiuti, ma basta demagogia, non faremo sconti».

Se di fronte ad un’uscita dei Cinquestelle, la maggioranza in Parlamento terrebbe lo stesso, qualora abbandonasse anche Salvini, i numeri non ci sarebbero più. Le urne anticipate sono una prospettiva che le forze politiche hanno ben presente. Se il Movimento, spinto dalla frangia più ortodossa, deciderà di chiamarsi fuori, il rischio sarebbe un effetto domino difficilmente gestibile. E nei partiti c'è anche chi si interroga sulla possibilità di un Draghi bis.

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