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Timilia e Priziusa, grano speciale
Il pane di Ustica torna sulle tavole

Annata di qualità, la lavorazione con le macine a pietra, ha dato delle farine di grande pregio. Al progetto ha preso parte l’esperto Franco Vescera, da molti definito «l'archeologo delle sementi»

PALERMO. Ritorna il pane di Ustica, quello che si faceva alcuni secoli fa, preparato con due antiche varietà di grano siciliano: la Timilia e la Priziusa. È stato grazie alla voglia di riscoperta delle proprie origini che agricoltori quali Giuseppe Mancuso e Antonino Licciardi hanno deciso di iniziare a coltivare nuovamente questi due tipi di grani.

A supportare il loro lavoro è stato Franco Vescera, profondo conoscitore del grano, da molti definito l'archeologo delle sementi, e da qualche mese alla guida della sezione Alimentare della Confindustria di Siracusa. Da poco hanno terminato la trebbiatura, effettuata utilizzando la trebbiatrice messa a disposizione dalla Regione Siciliana utilizzata anche per la lenticchia di cui l'isola di Ustica è famosa. In tutto sono stati raccolti ben 1200 kg di grano. «Il progetto di recupero è partito nel 2010 - spiega Vescera - quando si fece un censimento che mise in evidenza quelli che erano i grani antichi della Sicilia; lavoro fatto dalla Stazione Sperimentale di Caltagirone, dall´Università di Catania e da alcuni altri enti di ricerca volti a riportare alla luce genomi di grani antichissimi».

Si scoprì allora che nell'isola di Ustica le varietà di grano per prima usate erano proprio la Timilia (o Tumminia) e la Priziusa, in seguito abbandonate dall'introduzione di nuove varietà più in uso fra i panificatori. «Lo scorso anno - racconta Franco Vescera - in circa due ettari di terreno si è proceduto alla semina dei semi provenienti dalla Stazione di Granicoltura e finalmente quest'estate abbiamo potuto trebbiare. Un vero successo». Un raccolto di ottima qualità, molito poi rigorosamente con macine a pietra, che ha dato delle farine di grande pregio. Impastate seguendo le tecniche tradizionali con lievito naturale, acqua e sale, i pani sono stati infornati in forni di pietra lavica alimentati con legna di ulivo. «Questi pani avevano un profumo ed un sapore eccezionale, dovuto non solo al procedimento di lavorazione ma soprattutto alle caratteristiche del grano stesso e all'ambiente: l'arte artigianale e il microclima sono fattori importantissimi», sottolinea l'esperto. E sembra proprio che non ci sia altra regione in Italia in grado di vantare una così vasta concentrazione di varietà di grani e a rendere tutto ancora più straordinario è il fatto che ognuno di esso serva a produrre un pane diverso. Muovendosi in Sicilia, a distanza di pochi chilometri, si possono scoprire produzioni diverse: alcune si sono perse negli anni, ma è grazie al lavoro di agricoltori quali Mancuso e Licciardi che in questi ultimi anni si sta iniziando a recuperare la storia di queste antiche varietà, circa una cinquantina, portando così alla ribalta i pani monovarietali e riaccendendo i riflettori sull´importanza del grano usato nella panificazione. «Ora stiamo facendo delle prove anche sui Nebrodi e sulle Madonie - conclude Franco Vescera - e anche qui ci aspettiamo dei buoni risultati».

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