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Inglese, sudafricana e brasiliana: le tre varianti del Covid che si diffondono e spaventano

È allerta in tutto il mondo per la circolazione delle varianti del virus SarsCoV2 e la brutta notizia, annunciata nei giorni scorsi dal primo ministro britannico Boris Johnson, è che quella isolata nel Regno Unito non è solo la più contagiosa, ma la più mortale di quelle finora note.

L'allerta sulle varianti è stata lanciata anche da riviste scientifiche internazionali di primo piano come Nature e The Lancet. I dati che danno sostanza all'annuncio non sono stati ancora pubblicati, ma Johnson ha parlato "di alcune prime evidenze registrate in questo senso". Potrebbe quindi concretizzarsi "lo scenario più negativo", come l'ha definito l'immunologo Sergio Abrignani, dell'Università Statale di Milano. La conseguenza sarebbe infatti un generale aumento della mortalità nei Paesi in cui questa variante sta circolando.

Varianti Covid, cosa succede nel corpo umano

Un virus può diventare più mortale per molti motivi, legati al tipo di mutazioni. Per esempio, alcune mutazioni potrebbero essere più efficaci nello scatenare la cosiddetta tempesta di citochine responsabile dei casi più gravi, oppure potrebbe legarsi più facilmente ai recettori presenti sulla superficie delle cellule umane, raggiungendo e infettando un maggior numero di cellule e aumentando quindi la gravità della malattia; un altro possibile motivo, probabilmente fra i peggiori, è che possa sfuggire completamente agli anticorpi generati dal sistema immunitario: quest'ultimo non riesce più a eliminare il virus che continua a lavorare sottotraccia.

Varianti Covid e vaccini, gli interrogativi

Resta la grande domanda sui vaccini: riusciranno a contrastare comunque le varianti? "Si sta già cercando la risposta e, sulla base quanto pubblicato finora, i vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna possono riconoscere la variante inglese. Il fatto - prosegue Abrignani - è che il virus SarsCoV2 circolerà ancora moltissimo e c'è da aspettarsi che prima o poi bisognerà cambiare vaccino, come accade per l'influenza", ma questa operazione è possibile e non richiederà tempi molto lunghi.

La variante inglese

Gli scienziati la chiamano VOC 202012/01, il resto del mondo variante inglese. È la priva variante di Covid, identificata nel mese di dicembre dello scorso anno, anche se nuovi studi fanno risalire la sua nascita almeno a tre mesi prima: intorno al mese di settembre.

Dagli ultimi dati diffusi sembra che i contagiati dalla variante inglese siano circa 16.800 in Gran Bretagna, altri duemila sarebbero poi stati registrati in altri Paesi. "Mentre all'inizio vedevamo casi da varianti concentrati in un'area o in una struttura, ora registriamo contagi sparsi. Non più focolai circoscritti: le varianti si sono intrufolate ovunque sul territorio". Dice il direttore del laboratorio di Genetica molecolare - Test Covid-19 dell'Università di Chieti, Liborio Stuppia, commentando la questione delle varianti accertate in Abruzzo e delle prime reinfezioni. La situazione di Guardiagrele, paese del Chietino di novemila abitanti in cui sono emersi una quarantina di contagi riconducibili alla variante inglese, secondo Stuppia potrebbe "non essere un caso isolato, ma piuttosto una situazione emblematica di un fenomeno più ampio, che interessa il territorio".

La variante sudafricana

La variante sudafricana del Covid scientificamente viene chiamata 501.V2' di Sars-CoV-2, ed è stata individuata i primi di ottobre. Sembra abbia iniziato a diffondersi molto rapidamente in Sudafrica. Su questo aspetto c'è preoccupazione, come rilevano gli esperti citati dalla rivista Nature sul suo sito: molti, per esempio, sono preoccupati dalla velocità con cui si sta diffondendo la variante sudafricana e che si teme possa ridurre l'efficacia dei vaccini e causare reinfezioni. E su questa variante, sempre dalla Gran Bretagna, Matt Hancock, ministro della Sanità, ha evocato nelle ultime ore anche il timore scientifico, non confermato, ma possibile che, proprio la variante sudafricana, possa rivelare maggiore resistenza ai vaccini esistenti, fino "al 50%" rispetto al ceppo originario dell'infezione.

La variante brasiliana

È una sorvegliata speciale anche la variante brasiliana (B.1.1.28) e si sospetta che un'altra variante, ancora non identificata, sia la responsabile di un'impennata di casi in Francia. Al momento mascherine, distanziamento e igiene restano le difese fondamentali contro le varianti del virus SarsCoV2, ha osservato Stefania Salmaso, dell'Associazione Italiana di Epidemiologia.

"La presenza di varianti del coronavirus era assolutamente attesa: le varianti di un virus possono insorgere in qualsiasi momento - ha detto - e la probabilità che vengano osservate e si diffondano è proporzionale al numero di casi". Questo accade perché più il virus si diffonde e si moltiplica, più aumenta la possibilità che durante il processo di replicazione possano avvenire degli errori, le cosiddette mutazioni. L'importante è individuarle e controllarne la diffusione. Per questo oggi anche la rivista The Lancet ha condiviso l'appello a incentivare la raccolta delle sequenze genetiche del virus SarsCoV2 in circolazione, lanciato da giorni da ricercatori di tutto il mondo. Altrettanto necessario un piano unico di azioni coordinate e sincronizzate: solo così, si legge nella rivista, si può sperare di ritardare e prevenire l'ulteriore diffusione delle varianti del coronavirus, specialmente quella inglese.

Grazie alle acque reflue si scoprono le varianti

Sequenziare il genoma del virus Sars-Cov-2 nelle acque reflue può essere utile per rilevare nuove varianti virali prima che vengano rilevate dal sequenziamento clinico sul territorio. A dirlo è uno studio condotto dall'Università della California, che è stato pubblicato sulla rivista scientifica mBio.

I ricercatori hanno sequenziato l'Rna direttamente dalle acque reflue raccolte dai distretti municipali nell'area della baia di San Francisco per generare genomi Sars-Cov-2 completi e quasi completi. Gli studiosi hanno scoperto che i principali genotipi del virus rilevati nelle acque reflue erano identici ai genomi individuati nell'attività clinica.

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