Centrodestra litigioso, penalizzato dall’astensionismo, sconfitto. A partire da Verona, che diventa la fotografia degli errori da non ripetere. Con i leader a scambiarsi accuse. Avranno modo di parlarsi faccia a faccia, in un vertice che nelle intenzioni di Giorgia Meloni deve avvenire a stretto giro: «Chiederò a Berlusconi e Salvini di vederci il prima possibile per evitare ulteriori divisioni».
In quella sede, dovranno dimostrare che è possibile costruire una coalizione e riuscire lì dove a livello locale, divisi, hanno fallito. Il tempo a disposizione non è molto considerando che in autunno si vota per le regionali in Sicilia e la riconferma della corsa del governatore uscente Musumeci (sempre per divisioni interne al centrodestra) è tutt'altro che scontata. È vero che sono le elezioni locali, ed è opinione, tra i sondaggisti interpellati, che il voto di domenica non abbia nulla a che vedere con le elezioni politiche, ma è altrettanto evidente che l’esito delle urne ha avuto l’effetto di rimescolare gli equilibri delle coalizioni e disegnare gli scenari in vista dell’appuntamento nazionale del 2023. La vittoria netta del centrosinistra scuote i poli, mette in crisi il centrodestra, ma impone anche alle forze di centro di immaginare lo schema di gioco migliore per le urne del prossimo anno.
Vince soprattutto il Partito democratico di Enrico Letta che oltre a Verona, città diventata il simbolo della debacle del centrodestra, strappa agli avversari sette capoluoghi su tredici : «L'unità e fondamentale ed è una lezione per le politiche», osserva il leader Dem mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio non ha dubbi: «Ha perso chi ha picconato il governo».
L’esito delle urne rappresenta una spinta indubbia per il progetto di campo largo del segretario del Pd, che ottiene risultati positivi sia quando si allea con il Movimento, sia quando corre con Carlo Calenda. Il leader di Azione però si chiama fuori dal progetto federatore del Pd: «Letta faccia il campo largo con i Cinquestelle, noi facciamo un’altra strada».
Per Letta, a rafforzarsi non è soltanto la coalizione di centrosinistra, ma anche il governo di Mario Draghi. L’esecutivo è impegnato a chiudere tutti gli obiettivi del Pnrr entro il 30 giugno per incassare la seconda rata di fondi europei. Se a pesare nel cammino del campo largo ci sono le fibrillazioni interne al Movimento dopo l’addio di Luigi Di Maio, la situazione più complicata al momento resta in «casa» del centrodestra. Berlusconi, Salvini e Meloni per ora sono d’accordo solo su un punto e cioè che le urne, ed in particolare il dato dell’astensionismo certificano che «la sinistra non può cantare vittoria». È evidente che un chiarimento dovrà esserci ma, nonostante Salvini si sia detto pronto ad incontrare «anche domani gli alleati» ed il Cavaliere si sia fatto promotore di un incontro al più presto, una data di convocazione ancora non c'è. Eppure di carne a fuoco ce n'è parecchia. Da un’analisi dell’Istituto Cattaneo così come per il presidente dell’Istituto Ixè Roberto Weber «è innegabile che a pesare sull'esito siano state anche le lacerazioni» della coalizione. Non solo, oltre a dover sciogliere il nodo Sicilia, i tre dovranno affrontare anche la questione Lombardia. ll candidato ufficiale è l'attuale presidente Fontana, ma l’ipotesi che Letizia Moratti possa considerare l’idea di candidarsi agita le acque. La diretta interessata smentisce ma resta alla finestra. E il rischio, secondo alcuni, è che un eventuale no di Lega e Fi a Musumeci in Sicilia possa avere come effetto immediato la messa in discussione di Fontana al Pirellone.
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