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Da Messina a Palermo, così i Comuni aumentano le tasse per risanare i conti

Palazzo delle Aquile a Palermo

Di piano di riequilibrio si sente parlare sempre più spesso in Sicilia da alcuni mesi a questa parte. Un estremo tentativo dei Comuni di evitare il dissesto e far fronte alla crisi finanziaria confidando al tempo stesso negli aiuti dallo Stato.

Palermo è il caso emblematico. Dopo un lungo confronto politico e il voto in aula, l’amministrazione comunale ha scelto la strada del piano di riequilibrio approvato lunedì dal Consiglio con 14 sì, compresi i 5 Stelle, e con il centrodestra che è uscito dall'aula agevolando il voto. Il provvedimento, che adesso però dovrà superare altri ostacoli tra ministero e Corte dei Conti, se da un lato consente di scongiurare le rigidità del dissesto, dall'altro però comporterà per i palermitani un aumento medio dell'Irpef di 220 euro a testa. L'obiettivo, però, è ottenere il via libera ad una quota del maxi-prestito da 475 milioni previsto  dallo Stato per le amministrazioni in crisi.

Cento Comuni siciliani in difficoltà

La crisi finanziaria non attanaglia solo Palermo. Sono un centinaio i comuni siciliani in difficoltà, una parte è in dissesto, un'altra ha scelto la strada del piano di riequilibrio. Fra questi, oltre a Palermo, ci sono anche Messina, Licata, Corleone, Adrano, Palagonia, Paternò, Barcellona Pozzo di Gotto, Modica, Scicli, Avola, per citare alcuni tra i più grossi. Piano di riequilibrio, lo si è visto con Palermo, in prima battuta comporta un aumento dei tributi.

A dicembre il governo nazionale ha stanziato 150 milioni per aiutare i sindaci siciliani a mettere a punto i bilanci del 2021. Le somme sono state trovate a Roma dopo la protesta organizzata dall'Anci, l'associazione dei sindaci. A Palermo sono andati 45 milioni a cui se ne aggiungono altri 24 che lo Stato assegna in quanto città metropolitana, a Catania 4,7 milioni e a Messina 4,6.

La stangata a Palermo

Dal piano di riequilibrio all'aumento delle tasse. Il caso di Palermo parla chiaro. La misura più controversa, come ha spiegato oggi sul Giornale di Sicilia in edicola Giancarlo Macaluso, è l’aumento dell’addizionale Irpef su buste paga e imprese.

Per i primi due anni sarà raddoppiata, dallo 0,8 per cento all’1,6 per cento su una platea di 240 mila contribuenti, significa un aumento medio di 220 euro a testa. Ma non è tutto, perché, se le previsioni di introito dalle tasse non vengono rispettate, automaticamente saranno compensate col corrispettivo aumento dell’Irpef. E intanto sono già stati aumentati alcuni servizi a domanda individuale che devono raggiungere un tasso di copertura del 36%, come il biglietto di ingresso alla piscina portato da 1,5 a 3,5 euro, l’entrata a pagamento per lo Spasimo, 5 euro nonostante il monumento sia parzialmente in fase di restauro. Ma si prevedono incrementi anche per la Tari, sebbene l'aumento non sia strettamente correlato al piano.

La battaglia dell'Anci

Nei mesi scorsi l'Anci ha condotto una battaglia che ha portato i sindaci a Roma, con l'obiettivo non solo di ricevere una mano dallo Stato ma anche di intervenire sul sistema.

"In passato era un fatto straordinario che un Comune fosse in dissesto - spiega Mario Emanuele Alvano, segretario generale di Anci Sicilia -, perché la finanza locale si reggeva quasi interamente sui trasferimenti da Stato e Regione. Oggi, invece, si basa soprattutto sui tributi locali, e questo ha comportato una rivoluzione copernicana che ha avuto delle conseguenze".

Ci sono realtà che gestiscono meglio il sistema tributario, altre invece che a causa delle difficoltà di riscossione vanno in crisi. Ed è un cane che si morte la coda. "Se un Comune riesce a recuperare il 90% delle risorse dalla riscossione tributi - aggiunge Alvano - si troverà in una situazione finanziaria tale da consentire servizi adeguati, personale qualificato e investimenti. Se però il 30-40% dei cittadini non versa i tributi le conseguenze immediate sono gli aumenti che gravano su tutti gli altri. Il paradosso è che chi è in regola e ha contribuito si trova penalizzato. In Sicilia questo sistema non può funzionare dunque sarebbe fondamentale modificarlo e affrontare la questione con strumenti normativi". L'Anci lo ha chiesto a gran voce come sottolinea Alvano, anche con una serie incontri con i ministri dell'Interno, dell'Economia.  Al contempo si stanno cercando altre soluzioni in casa. "Con l'assessorato all'Economia - spiega - stiamo portando avanti un'iniziativa per individuare soggetti privati che possano occuparsi della riscossione dei tributi. Abbiamo già acquisito varie adesioni".

La Regione: aliquote minime per Irap e Irpef

L’assessorato dell’Economia della Regione Siciliana precisa che anche per l’anno d’imposta 2021 le aliquote di base minime stabilite dalla normativa vigente in materia sono: Irap nella misura del 3,90%, Irpef (addizionale regionale) nella misura dell’1,23%. La riduzione delle addizionali regionali, frutto dello sforzo pluriennale di risanamento finanziario, in particolare nel settore sanitario dal 2020, è stato avviato già dal 2018 - dice l’assessorato - Nel 2017 l’addizionale Irpef regionale era dell’1,73%, nel 2018 è stato ridotto all’1,50%, mentre nel 2019 all’1,23. Tale percentuale di riduzione è stata poi confermata con il consolidamento del taglio di mezzo punto percentuale. Quasi un punto (0,92%), invece, il taglio dell’Irap scesa dal 4,82% del 2017 al 3,90% attuale. L’assessorato dice che quelle raggiunte in Sicilia sono le aliquote minime consentite dalla legge relativamente all’importo delle addizionali.

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