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Stallo Quirinale tra veti incrociati e nomi bruciati, ritornano le ipotesi Draghi e Mattarella-bis

Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella

Nelle ore in cui il falò dei quirinabili brucia nomi e consuma scenari e dall'aula emerge un certo favore per un Mattarella-bis, un estremo tentativo è in campo per Mario Draghi. In pochi son pronti a scommetterci, ma chi dall’inizio tesse la tela del trasloco del premier da Palazzo Chigi al Quirinale pensa che ci sia ancora spazio per tentare, nell’avvitamento di queste ore. Alternative credibili ci sono ed emergono, seppur frenate da veti incrociati: tali vengono considerati i nomi di Pier Ferdinando Casini ma anche di Elisabetta Belloni e c’è chi invita a non escludere fino all’ultimo Giuliano Amato. Ma se la situazione dovesse sfuggire di mano, prima che lo stallo conclamato porti le delegazioni dei partiti in processione da Sergio Mattarella, il nome di Draghi potrebbe apparire - confidano i sostenitori - non solo la scelta più credibile davanti ai cittadini ma anche la garanzia di proseguire la legislatura.

Draghi sente Berlusconi

Draghi sente Silvio Berlusconi, dopo giorni di tentativi: di sabato, dicono, la prima telefonata. E girano voci anche di una telefonata con Salvini. Raccontano si sia trattato di un colloquio non politico, una telefonata del premier per fare al Cavaliere i suoi auguri di pronta guarigione. In parallelo i pontieri di Fi cercano di ammorbidire la posizione del partito, ferma sulla richiesta a Draghi di restare a Palazzo Chigi. A sera un colloquio tra il premier e Antonio Tajani si chiude con una nuova fumata nera, ma gli azzurri appaiono profondamente spaccati sulla strategia. Chi sostiene Draghi parla di un «clima molto migliorato» tra il premier e Fi. E anche in casa Lega c’è un fronte interno, «della saggezza» (dice un pontiere), che prova a smussare la linea di Matteo Salvini e convincerlo a siglare un accordo sul Colle e poi (ma su questo l’intesa è di là da venire) sul governo. A suggellarlo, suggerisce qualcuno, potrebbe essere Draghi, nominando un vicepremier prima di lasciare Chigi. Di sicuro tra i leghisti riemerge un ‘asse del Nord’, da Giancarlo Giorgetti ai governatori, che prova a stoppare ipotesi estemporanee o concrete. I governatori frenano, nella notte tra mercoledì e giovedì e a un passo dall’accordo, il nome di Pier Ferdinando Casini, che piacerebbe al Pd e fino all’ultimo viene tenuto in campo da un fronte trasversale che va da Matteo Renzi a Dario Franceschini: «Il nostro problema è chi possa ora proporlo, ma se Casini va in Aula passa», dice Iv.

I leghisti del Nord dicono no a Cassese

I leghisti del Nord dicono anche no a Sabino Cassese, il professore su cui Salvini prova ad aprire una trattativa: «E’ contro l’autonomia», dice in transatlantico Luca Zaia. Ma del resto Cassese, che potrebbe essere votato da renziani e Dem, non piace neanche a Giuseppe Conte. Col leader M5s, con cui si sarebbe visto nel pomeriggio, Salvini continua a tenere un filo che spaventa il Pd: quando a sera esce il nome di Franco Frattini si teme la forzatura e si interviene subito a bloccarla. Consapevoli della faglia che si è aperta nel Movimento: come un avvertimento a Conte e un messaggio pro-Draghi, che avrebbe il sostegno di Luigi Di Maio ma anche secondo qualcuno dell’area che fa capo a Roberto Fico, vengono letti gli oltre 160 voti comparsi nel quarto scrutinio per Sergio Mattarella.

Il Pd dice sì a Draghi, Casini e Amato

Se accordo dovrà essere, non può che essere su Draghi o profili come Casini e Amato, dicono dal Pd. E dal Nazareno stigmatizzano l’attivismo disordinato di Salvini: «Le trattative serie non si fanno in pubblico». Raccontano i rumors parlamentari che il leghista, che Letta dice di non aver visto, avrebbe incontrato possibili candidati come Giampiero Massolo, ambasciatore e presidente di Fincantieri, il presidente del Consiglio di Stato Frattini, ma anche Cassese e l’avvocato Paola Severino (sarebbe gradita al M5s ma sgradita a Fi per la legge che porta il suo nome). Il nome che circola come più credibile - circola dalla notte di mercoledì - è quello di Belloni, molto stimata anche da Draghi. Sul suo profilo sarebbe difficile al Pd dire di no, nonostante i dubbi sulla compatibilità col suo ruolo attuale di capo dei Servizi: piace al M5s (dicono che nella notte l’abbia proposta Conte a Salvini), non dispiace alla Lega e Fdi, mentre frenano i centristi e anche Di Maio, che con lei ha un ottimo rapporto, interviene per chiedere di non trascinarla nella mischia «spaccando la maggioranza». Di lei si parla - come di Casini - come una possibile risorsa per il ‘dopo Draghì a Palazzo Chigi. E qui si torna al premier e a un tentativo, assai difficile per i dubbi sulla tenuta delle truppe parlamentari, che fino alla fine si tenta di condurre in porto. Perché maturi c’è bisogno di tempo, ecco perché chi lo sostiene ipotizza possa arrivare non alla quinta, ma alla sesta votazione (che potrebbe tenersi domani, se passerà la richiesta di due voti al giorno). Il fronte del No è però ancora molto forte. E lavora per l’alternativa, scommette su Casini o Amato. O, semmai, Mattarella.

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