Questa è la settima puntata della serie di articoli dedicati alle precedenti elezioni del presidente della Repubblica
Il 15 giugno del 1978, su una scena politica già sconvolta dall’assassinio di Aldo Moro per mano delle Br, piomba la notizia delle dimissioni di Giovanni Leone, costretto a lasciare anzitempo il Quirinale in seguito allo scandalo Lockheed. Con sei mesi di anticipo sulla scadenza naturale, il Parlamento si trova a dover risolvere il rebus del successore.
Quell’anno la maggioranza si è allargata al Pci, che sostiene il governo delle larghe intese di Andreotti, nato proprio il giorno del rapimento Moro. Il Psi è guidato da Craxi, che durante il sequestro del presidente della Dc si è dissociato dalla linea della fermezza e ha chiesto l’avvio di una trattativa con i brigatisti. La Dc è nelle mani di Benigno Zaccagnini, fautore del compromesso storico, mentre a Botteghe Oscure regna il carismatico Enrico Berlinguer, che però deve tenere a bada i malumori dei militanti ostili alla collaborazione con la Dc.
Per il Quirinale si è ormai imposta la regola dell’alternanza: sette anni un laico, nel settennato seguente un cattolico. Dopo il democristiano Leone tocca dunque a un laico. Il segretario del Pri Ugo La Malfa non nasconde le sue mire, ma Craxi vuole che al Quirinale arrivi un socialista. Il 29 giugno, giorno della prima votazione, Montecitorio è sorvegliata da carabinieri armati di mitra, pronti a fronteggiare eventuali blitz terroristici. I primi scrutini vanno via con i partiti che votano i loro candidati di bandiera: il Dc Guido Gonella, il Pci Giorgio Amendola. Le giornate che seguono vedono la Dc rifugiarsi nell’astensione in attesa che emerga una solida candidatura. Craxi non punta su Sandro Pertini: l’ex presidente della Camera, ormai ottantunenne, non è allineato. Troppo indipendente. I socialisti puntano su altri due autorevoli personaggi, che Craxi, a torto o ragione, reputa più affidabili: l’ex ministro Antonio Giolitti e il giurista Giuliano Vassalli. Ma Berlinguer non è disposto ad avallare i disegni di Craxi e mette il veto su Vassalli (troppo schierato a favore della trattativa con le Br) e fa per primo il nome di Pertini: dal punto di vista di Botteghe Oscure, l’anziano socialista savonese, con il suo passato glorioso di partigiano e incorruttibile antifascista, è il candidato ideale per concedere a Craxi una vittoria dimezzata.
Per non farsi mettere nell’angolo, il 2 luglio il segretario del Psi fa propria la candidatura di Pertini, in un momento in cui la Dc non ha ancora deciso il da farsi: è probabile che sia una mossa per far naufragare la corsa dell’«indesiderato». Pertini scrive una lettera a Craxi in cui dice che è pronto a candidarsi solo a patto di essere appoggiato da tutto l’«arco costituzionale». Craxi spera di aver archiviato la scomoda pratica e ricomincia a lavorare per Giolitti. Pertini, in realtà, ha capito che giocando bene le sue carte può farcela davvero. Alla fine anche Craxi deve fare di necessità virtù: preso atto che le candidature di Giolitti e Vassalli non decollano (quest’ultimo alla decima votazione ottiene 429 voti con oltre 100 schede bianche) , deve accettare di far tornare in pista Pertini, che nel frattempo ha avuto anche l’assenso della Dc. È Zaccagnini a comunicare la notizia al diretto interessato. Pertini la riceve mentre si sta preparando per partire per Nizza, dove lo aspetta la moglie Carla Voltolina per le vacanze estive. È sabato 8 luglio e al sedicesimo scrutinio arriva l'elezione con un’ampia maggioranza: 833 voti su 995, praticamente tutti i partiti tranne l’estrema destra.
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