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Governo, Conte al bivio: tentativo per il "ter" o sfida in Aula per Bonafede

Il premier Giuseppe Conte di fronte al bivio più insidioso: pilotare una crisi, presentandosi da dimissionario al Colle per un Conte-ter, o rischiare la sfida in Aula sulla giustizia. Per poi allungare i tempi per il nuovo governo, nel caso in cui dovesse farcela con i numeri. Una sfida che, almeno al Senato, questa volta appare quasi impossibile. La strada è stretta e, spiegano diverse fonti parlamentari, se in qualche modo ai potenziali volenterosi fosse annunciato un passo di lato del ministro Bonafede, sarebbe meno in salita.

Non è detto che Conte sia costretto ad aprire ad un «ter» già tra lunedì e martedì. Con delle assenze «strategiche» dei volenterosi in occasione della relazione di Bonafede il premier potrebbe superare lo scoglio giustizia. Ma tutte le opzioni al momento sembrano avere lo stesso peso. Intanto, il pressing su Palazzo Chigi è aumentato. «Dobbiamo partire», spiega una fonte di primo piano del governo. Mercoledì la Camera voterà su Bonafede, al Senato potrebbe toccare giovedì.

Se la maggioranza andasse sotto Conte sarebbe di fatto costretto a dimettersi e, spiegano fonti parlamentari, a quel punto il Colle non gli darebbe un incarico esplorativo. A metà mattinata il premier vede Bonafede e Luigi Di Maio. Si parla delle ultime nomine nell’intelligence ma, soprattutto, di cosa accadrà nei prossimi giorni. Secondo fonti qualificate della maggioranza il premier avrebbe in serbo un «coup de theatre» tra lunedì e martedì.

Potrebbero essere quelli i giorni del primo embrione della quarta gamba. Ma Conte deve dare in cambio qualcosa. Innanzitutto, una prospettiva politica. E non è un caso che Bruno Tabacci, dopo l’incontro con Di Maio a Palazzo Chigi - dove il presidente di Cd si reca due volte nel giro di poche ore - parli di campo «liberal-democratico» da occupare nel Paese. Poi c'è il punto più «dolente», per il premier: dare vita ad un Conte-ter con tanto di dimissioni e crisi pilotata. I numeri parlano chiaro. O si guarda a FI, o a Iv.

Il gruppo dei renziani con una nota, fa un passo in avanti sul dialogo e l'ex premier, per un giorno preme il tasto» pausa» al duello con Renzi. Difficile, tuttavia, che il premier torni suoi suoi passi e tratti con il leader di Italia Viva. Anche se, su questo punto, oggi il Pd non parla mentre nel M5S crescono le pulsioni per far rientrare il leader di Iv. «I parlamentari hanno paura. Non solo di tornare al voto ma di dover dire sì ad un governo tecnico», spiega una fonte qualificata del Movimento. L'obiettivo di Conte, per ora, resta quello di «svuotare» Iv.

Quello di Renzi tenere il gruppo compatto fino al voto su Bonafede per cercare di arginare eventuali assenze strategiche on Aula anche tra i renziani. C'è però un’altra strada, quella azzurra. Un nuovo governo, anche guidato Conte ma senza Alfonso Bonafede a Via Arenula e sostenitore di una chiara svolta garantista sarebbe la condizione posta da una pattuglia di senatori potenziali «volenterosi» di FI - alcuni parlano di 7, altri di 13-15 - per confluire in un nuovo gruppo che appoggi l'esecutivo. All’interno del gruppo di Forza Italia in tanti non sarebbero disponibili a giocare un ruolo di comprimari in un centrodestra a trazione sovranista.

A quel punto, la difesa del garantismo, un tema tradizionalmente caro a Silvio Berlusconi, renderebbe meno traumatica una scissione. L’operazione, secondo alcun voci insistenti, vedrebbe il coinvolgimento dell’attuale vice presidente della Camera Mara Carfagna, anche se il suo staff smentisce seccamente. Fonti autorevoli vicine a Berlusconi non escludono che possa esistere questa suggestione ma ironizzano sull'idea che alcuni azzurri possano governare con i loro nemici storici: «Sarà come dei donatori di sangue che si sposano con Dracula».

Ma sul piatto Palazzo Chigi ha messo due punti dirimenti per FI: il proporzionale e la possibilità di eleggere «assieme» il successore di Sergio Mattarella. Le prossime ore saranno decisive. Con l’alternativa di evitare le dimissioni e limitarsi a un rimpastone che, oggi, appare più lontano. E con all’orizzonte lo spettro del voto. Un’eventualità che, in caso di fallimento di Conte, dalle parti del Quirinale continuano a dare come probabile.

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