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Recovery fund, è scontro in Ue: Conte deluso ma non vuole cedere sui 750 miliardi

«Fumata nera» del primo giorno di Consiglio europeo e grande delusione per Giuseppe Conte. Il premier italiano è «determinato» a portare a casa non solo un Recovery fund di portata storica, con intatti tutti i 750 miliardi della proposta iniziale, ma anche meccanismi «efficaci» per accedere ai fondi: è cruciale poter mettere a terra le risorse entro il 2021, senza l'ombra di una «troika» a legare le mani al Paese.

Per tutto il giorno prosegue la sfida con il premier olandese Mark Rutte: «Nulla è incrollabile», dice Conte intorno all’una di notte, rientrando in albergo visibilmente stanco, dopo quattordici ore di vertice. Si è trattato duramente per tutto il giorno. Poi a cena, dopo un vertice con Angela Merkel ed Emmanuel Macron, Charles Michel presenta una proposta di governance che introduce un «freno d’emergenza»: il potere per i governi di bloccare i pagamenti, se non vengono attuate le riforme. Conte si oppone e fa la sua controproposta: lasciare alla Commissione valutare i piani di riforma che i singoli Paesi presenteranno per accedere ai fondi, con un potere del Consiglio, ovvero degli Stati, di sollecitare interventi in casi particolari.

E’ muro contro muro. Così come sui 750 miliardi di risorse che i Paesi frugali chiedono di ridurre, mentre Conte - puntando sull'asse con Macron - vuole confermare. Il negoziato è tutto in salita: chiudere entro il weekend, come auspicava Conte all’inizio del vertice, impresa quasi insperata. «Ci sono divergenze», ammette il premier italiano. Che si oppone anche al meccanismo che darebbe il 70% di risorse nel 2021 e il resto dopo due anni, purché il Pil del Paese sia sotto la media europea: l’Italia, stando alla tendenza degli ultimi anni, non rischierebbe di perdere i fondi, ma non potrebbe programmare - è la linea del premier - investimenti su diversi anni. Ma è soprattutto sul no al potere di veto che Mark Rutte vorrebbe assegnare ai singoli stati che Conte tiene il punto.

E’ vitale non ridimensionare la proposta di Recovery fund per affrontare un autunno caldo e una maggioranza fibrillante. E' essenziale per rendere credibile quel programma di Rilancio su cui, come annunciato dal ministro Roberto Gualtieri, da lunedì inizierà a lavorare un’apposita struttura e per resistere ai colpi di un fronte sovranista fiaccato ma combattivo. A Roma questa volta non mancano gli alleati in Consiglio, perché il Coronavirus ha colpito duramente tutto il Vecchio Continente.

Ma all’ultimo miglio l’impuntatura dell’Olanda minaccia di far digerire all’Italia norme capestro: per evitarlo Conte cerca la sponda di Macron e Merkel, e con un intervento durissimo davanti agli altri leader si mostra pronto a usare ogni arma di trattativa. Fin dalla riunione plenaria dei ventisette leader europei, il presidente del Consiglio trova conferma dell’asse con lo spagnolo Pedro Sanchez ma anche con Emmanuel Macron. Mentre Angela Merkel, anche in virtù del suo ruolo di presidente di turno dell’Unione, resta in ascolto nelle sette lunghe ore di riunione plenaria. La cancelliera, che proprio il 17 luglio compie gli anni, è ancora una volta centrale per sciogliere un negoziato che si articola sui due tavoli di Next Generation Eu e Bilancio pluriennale, e che potrebbe essere bloccato dai veti. Negli auspici di Palazzo Chigi c'è la chiusura del negoziato già questo weekend, o al massimo in un secondo round all’inizio della prossima settimana, per evitare che i veti contrapposti trascinino il Recovery fund in una palude da cui sarebbe difficile uscire. La consapevolezza è che Rutte è motivato dalle imminenti elezioni in Olanda, che lo vedranno impegnato in una difficile sfida ai sovranisti, e venderà cara la pelle. Lo scontro in Consiglio è la riprova che, al di là degli attestati di amicizia reciproca, il primo ministro dei Paesi Bassi non cederà alla richiesta italiana di lasciare alla sola Commissione il controllo sui piani di riforma nazionali cui vincolare i fondi. Conte e Sanchez al tavolo del vertice difendono lo schema che era stato proposto in prima battuta da Ursula von Der Leyen: valutino i commissari (incluso il responsabile dell’Economia Paolo Gentiloni).

Ma sanno che la proposta di sottoporre al giudizio, a maggioranza, dei capi di governo i Recovery plan nazionali è stata sposata da Merkel: da lì difficilmente si tornerà indietro. La trincea italiana è evitare che il meccanismo venga irrigidito ulteriormente, dando ai singoli Paesi un sostanziale potere di veto. Per Conte sarebbe inaccettabile: il premier lo spiega a Rutte, davanti agli altri 25 leader, citando i trattati europei. Ma l’olandese ribatte a muso duro. In un clima che fonti diplomatiche definiscono "costruttivo» e «responsabile», ma che per ora non consente di avvicinare le distanze. Va bene seguire le linee guida di riforme che vadano nella direzione della riconversione «verde», della semplificazione, della digitalizzazione. Ma Roma non può accettare di vedersi imposta riforme come quella di «quota 100" o del mercato del lavoro. Il punto debole di Rutte nella trattativa è la sua difesa dei «rebates», fondi spettanti a L'Aja nell’ambito del bilancio pluriennale. E anche se l’Italia sceglie per ora la via negoziale, porre il veto per rispondere al veto olandese resta un’opzione sul tavolo. In un Consiglio europeo che minaccia di protrarsi per giorni, per ora si segnano le posizioni. La strada è tutta in salita. Conte ha una sola certezza: non può cedere, non può abbassare troppo l’asticella. Solo un piano «ambizioso» può rinviare l'appuntamento con la difficile decisione sull'accesso al Mes. Solo risorse ingenti possono togliere altro ossigeno ai sovranisti italiani e armi ai tifosi di un governo di unità nazionale che salvi il Paese dal baratro della crisi. ANSA

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