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Ddl Boschi, Corso: "Lo Stato è più forte, stop a sprechi nelle Regioni"

PALERMO. Pecche, tante. E pure qualche pasticcio — soprattutto alla voce nuovo Senato delle Regioni — nella crisalide Boschi che diventa, da ddl della discordia, legge di riforma costituzionale. D’altra parte, secondo Guido Corso, già ordinario di Diritto amministrativo alle Università di Palermo e Roma Tre e attualmente professore straordinario all’Università Europea sempre nella capitale, «riforme necessarie che non stravolgono l’impianto fondamentale dell’ordinamento e gli equilibri tra le sue funzioni». Con due pregi. Superare un principio che era divenuto quasi prigionia, il bicameralismo perfetto. Sul “come”, Corso non lesina appunti e glosse critiche, in primo luogo sul «delineamento delle competenze e della composizione della nuova Camera di Palazzo Madama: le une non sempre chiare e in qualche caso concomitanti con Montecitorio»; l’altra, lontana dal modello tedesco e destinata con ogni probabilità a teletrasportare a Roma «litigiosità e divisioni intestine dei singoli consigli e assemblee regionali». E poi, il colpo decisivo (ma non ancora finale) a qualsiasi vagheggiata versione hard delle autonomie regionali, tanto ordinaria quanto straordinaria, «per la quale — aggiunge il docente — e segnatamente per quella siciliana, nessuno si straccia le vesti...».

Professore, sulle riforme il dado è davvero tratto. Possiamo parlare di sistema che cambia? Qualcuno ha persino parlato di semipresidenzialismo in maschera...
«Per carità, no. Escludo che si tratti di un semipresidenzialismo camuffato, per un semplice motivo: malgrado e in costanza della trasformazione del Senato da Camera in sistema di bicameralismo perfetto a Senato delle Regioni, restano i due punti fermi del nostro ordinamento parlamentare, cioè il rapporto di fiducia fra governo e maggioranza parlamentare, benché ridotto all’espressione di una sola Camera, e il connesso equilibrio tra le funzioni legislativa ed esecutiva. L’eliminazione del bicameralismo perfetto è, anzi, un gran merito della riforma. Piuttosto, si può discutere sulle scelte che hanno strutturato il Senato così come sarà da ora in poi...».

Cosa non va, nel nuovo Senato?
«Il vizio di origine non è soltanto uno. Meccanismo di rappresentanza, composizione e sfera di competenza delineano un quadro complessivo che per vari aspetti somiglia a un pasticcio. A quel punto, una volta rigettata l’opzione del modello tedesco, che dà effettivamente voce ai governi locali, io lo avrei semplicemente eliminato. Invece, assisteremo all’assurda presenza di ventuno sindaci accanto a consiglieri regionali i quali porteranno probabilmente a Palazzo Madama le stesse dinamiche di divisione che già vivono in seno alle assise regionali. E, soprattutto, all’esercizio di competenze non del tutto chiare e capaci, in casi limite, di condurre a conflitti di attribuzione la cui risoluzione è affidata al debole meccanismo dell’intesa fra i presidenti delle due Camere. In alcune fondamentali materie, infatti — prima fra tutte proprio la materia della revisione della Costituzione — la competenza resta comune fra le due Camere. Il pasticcio sulla composizione, naturalmente, rimanda a quello sulla modalità di elezione. Il testo del ddl Boschi modificato alla Camera, rinviando alla legge elettorale sul Senato, prevede l’ipotesi che già in sede di elezioni regionali, possa essere espressa l’indicazione per i consiglieri da mandare a Roma. Insomma, poteva essere tutto molto più semplice».

Senato e Regioni, due questioni connesse a filo doppio. A proposito, quale sorte per le autonomie?
«Il ruolo delle Regioni esce ridimensionato, sia formalmente sia sostanzialmente. Due i fronti: da un lato, l’ampliamento delle competenze esclusive dello Stato, dall’altro la riduzione di quelle concorrenti. Con un’aggiunta importante, che fa pendere la bilancia in senso nettamente più centralistico: lo Stato, su proposta del Governo e deliberazione del Parlamento, può incidere in qualsiasi campo anche di competenza esclusiva delle Regioni, se sia in gioco la “tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica e dell’interesse”. S’intende quanto sia ampia una formula siffatta, che prende il posto del meccanismo analogo ma più larvato della generale “funzione di indirizzo e coordinamento” in capo allo Stato, oltre all’azione della giurisprudenza e della Corte costituzionale. Dunque, anche sulle competenze esclusive delle Regioni il potenziale condominio con lo Stato incomberà sempre, per tacere delle previsioni dell’articolo 81 riformato che impone e regola il vincolo di bilancio. Insomma, l’autonomia finanziaria delle Regioni, in molti casi, sarà un’affermazione di solo principio».

E le autonomie speciali? La Sicilia? Per lo Statuto all’orizzonte anche “picconate” dirette?
«Il discorso non cambia. Anzi, specialmente la Sicilia non dovrà e potrà sottrarsi al rispetto dei vincoli di finanza pubblica. La compressione delle autonomie è generale e discende dal profilo finanziario come da quello della riduzione delle competenze esclusive. Mi creda, una diminuzione di autonomia per la quale, per come è concepita oggi, nessuno dovrebbe stracciarsi le vesti...».

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