ROMA. Il Senato approva l'articolo 21 delle riforme, che detta le nuove norme per l'elezione del presidente della Repubblica. Si tratta di uno dei pilastri del ddl Boschi, su cui non c'era ancora accordo con la minoranza del Pd, che invece ha votato il testo dopo una riunione con il governo nella quale hanno ottenuto assicurazioni su un altro punto a cui essa tiene molto, e cioè la norma transitoria sull'elezione del nuovo Senato. Ma all'intesa con la minoranza Dem si contrappone il dissenso di alcuni senatori di Ap, come Gaetano Quagliariello, che non hanno partecipato al voto non condividendo il testo.
Divisioni anche nelle opposizioni con la Lega che ha attaccato a testa bassa Fi, accusata di fare la «stampella» della maggioranza per aver votato con essa su un emendamento. Nella mattinata di ieri il Senato ha approvato quattro articoli, respingendo tutti gli emendamenti delle opposizioni. Ma la seduta era iniziata con dei numeri che fotografavano una certa tensioni nella maggioranza: questa, infatti, nel primo scrutinio si è attestata a 144 voti, circa venti in meno del solito. E infatti prima della seduta c'era stata una riunione interna al Pd in cui non c'era stato un accordo su due punti importanti: l'articolo 21, sull'elezione del Presidente della Repubblica, e le norme transitorie sull'elezione del futuro Senato. Ma anche le opposizioni, che si erano riunite nella sala Koch di palazzo Madama, non si sono messe d'accordo se mandare tutte insieme una lettera di protesta al presidente Mattarella.
Ma ecco che la dinamica d'aula ha cambiato l'andamento della giornata, su un emendamento di una senatrice della minoranza Dem (Nerina Dirindin). Al «no» del Pd annunciato da Anna Finocchiaro, 14 senatori della minoranza interna non si sono adeguati, controbilanciato però da 28 senatori di Fi, a partire dal capogruppo Paolo Romani, che hanno votato assieme alla maggioranza. Gli altri gruppi di opposizione hanno espresso tutto il loro malumore, tanto che l'idea di una missiva comune al Quirinale è saltata (Fi ne invierà comunque una propria, mentre M5s ha chiesto un incontro a Mattarella), e in aula prima Cinzia Bonfrisco, capogruppo dei Conservatori, e poi Gianmarco Centinaio, capogruppo della Lega, hanno attaccato a testa bassa Fi, definita «stampella di Renzi». Romani ha insistito che la scelta di Fi ha riguardato il «merito» dell'emendamento e non è stata dettata da «un esasperato tatticismo».
Se dunque le opposizioni si sono divise, ecco che nel primo pomeriggio, durante la pausa pranzo, governo e minoranza del Pd hanno raggiunto l'accordo: niente modifiche all'articolo 21 sull'elezione dell'inquilino del Quirinale, e accettazione delle richieste di interventi sulla norma transitoria, all'articolo 39 (che sarà votato nei prossimi giorni). Nel pomeriggio si è cominciato a discutere sull'articolo 21, ma a sorpresa Gaetano Quagliariello e Pierferdinando Casini hanno chiesto modifiche al testo. Il quorum elevato richiesto (dal settimo scrutinio occorrono i tre quinti dei votanti), hanno spiegato, rischia di mettere nelle mani delle opposizioni tali elezioni, e di bloccare il Parlamento. La loro richiesta di una «norma di chiusura» non è stata ascoltata, tanto che Quagliariello e il suo collega di Ncd Andrea Augello, non hanno partecipato al voto, come pure tutte le opposizioni, con la Lega che ha addirittura abbandonato i lavori e Sel che ha ritirato tutti gli emendamenti ai successivi emendamenti «per frustrazione», come ha spiegato Loredana De Petris.
Alla fine le nuove norme sull'elezione del Presidente della Repubblica sono passate con 161 (3 i «no» e 5 gli astenuti), cioè oltre la quota di sicurezza dei 160. Domani pomeriggio il Senato esaminerà la riforma del Titolo V, cioè l'assetto federale dello Stato. La ritrovata unità nel Pd induce il governo al cauto sorriso.
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