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Riforma del Senato, dal Governo c'è l'ok anche al taglio delle Regioni

ROMA. La riforma del Senato è ad un passo  dall'approvazione da parte di Palazzo Madama. Domani gli ultimi  sì agli articoli rimanenti. E martedì il voto finale sul  complesso del provvedimento.  Oggi è stato dato il via libera agli articoli delle riforme  che introducono il nuovo federalismo, tra l'altro aumentando le  materie su cui sarà possibile la devoluzione delle competenze  dallo Stato alle Regioni. Ma il colpo di scena è arrivato  dall'accoglimento da parte del governo di un ordine del giorno  di Raffaele Ranucci (Pd) che impegna l'esecutivo a presentare a  breve una riforma che tagli il numero delle Regioni. La  presentazione di un emendamento dell'esecutivo sulla discussa  norma transitoria certifica l'intesa interna al Pd, mentre  l'opposizione si divide e dentro forza Italia si registra una  spaccatura verticale.

Il Senato ha approvato l'articolo del ddl Boschi che riscrive l'articolo 117 della Costituzione, cioè l'assetto federale. Il  nuovo testo abroga le materie di competenza concorrente tra  Stato e Regioni, e riporta in capo allo Stato alcune materie,  tra cui la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, l'energia,  le infrastrutture strategiche, la protezione civile. In più nel  nuovo articolo 117 c'è la cosiddetta clausola di salvaguardia  dell'unità nazionale: lo Stato potrà riprendersi alcune  competenze «quando lo richiede la tutela dell'unità giuridica o  dell'unità economica della Repubblica o lo rende necessario la  realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di  interesse nazionale».  A compensare la centralizzazione di alcune competenze, c'è  però l'approvazione di un emendamento di Francesco Russo (Pd),  fatto proprio e riformulato dal governo, che amplia le materie  che potranno essere devolute dallo Stato alle Regioni, purchè  esse abbiano i conti a posto. Potranno essere devolute  l'organizzazione della giustizia di pace, l'istruzione, le  politiche attive del lavoro e la formazione professionale, la  valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, e il governo  del territorio. L'emendamento di Russo aggiunge a tali materie  le «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute,  per le politiche sociali» e il commercio con l'estero.

Ma ad animare il dibattito ci ha pensato un ordine del giorno  di Raffaele Ranucci che impegnava il governo a presentare una  riforma che riduca il numero delle regioni, prima che entri in  vigore il ddl Boschi. In pratica da qui ad ottobre 2016.  L'accettazione da parte del governo, con il sottosegretario  Luciano Pizzetti, non ha nemmeno reso necessario il voto, ma si  è comunque sviluppato un dibattito in cui ha prevalso la  sorpresa per il colpo di scena. M5s ha attaccato con Giovannni  Endrizzi e Paola Taverna, ma anche nel Pd Walter Tocci, da  sempre sostenitore del taglio del numero delle regioni, ha  definito l'ordine del giorno «un modo surrettizio di affrontare  il tema». Contrari pure tre senatori Dem, i friulani Ludovico  Sonego e Carlo Pegorer e il molisano Roberto Ruta. Luciano Uras,  di Sel, ha addirittura affermato che «con la nascita di  macroregioni si faranno più forti le spinte scissioniste.  L'Italia finirà come Urss».     In serata il ministro Maria Elena Boschi ha presentato un  emendamento sull'articolo 39 del ddl che contiene la norma  transitoria, finora oggetto del contendere con la minoranza Dem.  Se dunque nella maggioranza è pace fatta, cosa che rende il  percorso delle riforme in discesa, le opposizioni sono spaccate.     Lega e Fi sono ai ferri corti per il voto mercoledì degli  azzurri su un emendamento assieme alla maggioranza. Ma anche  dentro Fi è maretta: da una parte c'è chi (come Augusto  Minzolini) propone l'Aventino, chi propone il «no» alle riforme  ma rimanendo in Aula, e addirittura chi, come Riccardo Villari  incita al sì. Il tutto mentre circolano raccolte di firme per  azzerare i vertici dei gruppi parlamentari di Senato e Camera.

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