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Riforme, approvato l'articolo 1. Renzi: passaggio più difficile superato

Ma il percorso della riforma è ancora irto di ostacoli. A partire dai voti a scrutinio segreto sull'articolo 2 che attendono adesso la maggioranza a una prova di tenuta non solo di voti, ma anche di nervi

ROMA. «Il passaggio più difficile della riforma costituzionale è stato brillantemente superato». In serata ieri Matteo Renzi tira un bilancio più che positivo del primo, delicato, passaggio che con l'approvazione dell'articolo 1 fa compiere «un grande passo avanti» al testo. I numeri ampi, osserva, smentiscono chi si affannava ad affermare che la maggioranza camminava sul filo. Tant'è che, assicura qualche renziano, si fa largo la tentazione di imprimere un'accelerazione al testo e votare il via libera al testo prima del 13 ottobre, data prevista, e incardinare con più tranquillità la legge sulle unioni civili.

Ma il percorso della riforma è ancora irto di ostacoli. A partire dai voti a scrutinio segreto sull'articolo 2 che attendono adesso la maggioranza a una prova di tenuta non solo di voti, ma anche di nervi. Tant'è che in serata, prima di mettersi al lavoro con il ministro Pier Carlo Padoan sulla legge di stabilità, il premier si è fatto carico in prima persona di una decisione che depotenzia i rischi di quei voti segreti e prova a tranquillizzare i senatori del Pd e della maggioranza. Le opposizioni, infatti, con alcuni emendamenti sulle minoranze linguistiche, sui quali si vota a scrutinio segreto, hanno provato a far rientrare dalla finestra quell'elezione diretta dei senatori che l'accordo con la minoranza Pd aveva fatto uscire dalla porta. Nel segreto dell'urna, spiega un renziano, la tentazione di votare a favore rischiava di scattare non solo tra i senatori delle minoranze linguistiche (sparsi in tre gruppi: Minoranze, Gal e Misto) ma anche nella minoranza Pd e in una buona fetta di Ncd. La prima soluzione era presentare un emendamento del governo per «cancellare» i voti segreti. Ma, dopo un colloquio tra il ministro Maria Elena Boschi e il presidente del Senato Pietro Grasso, Renzi ha scelto una via meno dirompente: rimettersi alla decisione dell'Aula sulle parti che riguardano le minoranze linguistiche.

Perchè se anche a scrutinio segreto dovessero passare e cambiare il testo del governo, si tratta di «questioni secondarie e politicamente non rilevanti» che non modificano parti essenziali della riforma. La mossa porta diversi risultati: annulla ripercussioni politiche di eventuali «incidenti» sul voto segreto, evita a Renzi di dover porre la fiducia su emendamenti del governo («Non ne ha alcuna intenzione», assicurano dal governo) e dà il messaggio ai parlamentari del Pd che lo scoglio più grosso è stato già superato con il via libera all'articolo 1 della riforma e l'intesa interna al Pd sull'elettività dei futuri senatori. Per il resto, ragionano ai vertici del Nazareno, le opposizioni proveranno ancora a tendere trappole e bisognerà
tenere fino all'ultimo la guardia ben alta, «senza rilassarsi troppo». Ma da un lato si è pronti a intervenire in qualsiasi momento con 'cangurì ed emendamenti del governo, dall'altro
lato i numeri consentono una certa tranquillità. Con i verdiniani, infatti, si è arrivati a quota 177. Se pure nei voti segreti dovessero esserci venti franchi tiratori (è questa la
stima che circola) non sarebbero sufficienti a «mandare sotto» il governo. Anche perchè, raccontano in ambienti Dem, almeno cinque o sei senatori di Forza Italia sarebbero pronti
all'occorrenza a uscire dall'Aula e abbassare il «quorum».

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