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Parte il tour del force alla Camera sul Jobs act, Boschi: "Servono tempi certi"

Alla domanda se ci sarà bisogno della fiducia, il ministro per le Riforme risponde che ancora è prematuro. Intanto, alla Camera è stato avviato l'esame di 480 emendamenti

ROMA. «Ancora è prematuro, bisogna prima terminare il lavoro in commissione e vedere quanti emendamenti saranno presentati per l'aula, quindi potremmo deciderlo soltanto nei prossimi giorni, sicuramente c'è la necessità di chiudere in tempi certi». Lo ha detto il ministro per le riforme, Maria Elena Boschi, parlando con i giornalisti che le chiedevano se servirà la fiducia sul jobs act.

«La Capogruppo ha proposto il 26 novembre per il voto alla Camera, oggi in Aula dovrebbe esserci un voto che confermerà questa data». Così il ministro Maria Elena Boschi a margine di una iniziativa a Laterina. «È una iniziativa del Governo - ha aggiunto - che ha chiesto una data finale per il voto alla Camera, perchè immagina delle modifiche in Parlamento. Dobbiamo immaginare un nuovo passaggio al Senato. È fondamentale che la delega al lavoro venga approvata dal Parlamento prima della fine dell'anno.

Intanto, è stata una domenica di lavoro per i deputati  della Commissione Lavoro, che hanno avviato l'esame di circa 480 emendamenti al testo della delega al Governo per il Jobs Act. È partito così il tour de force alla Camera - per il momento senza il rischio di sorprese e senza ancora arrivare sul terreno minato di nodi come l'articolo 18 - con la Commissione convocata dalla mattina di ogni giorno da domani a giovedì. Un ritmo serrato che serve a portare il testo già da venerdì prossimo in Aula, dove il primo passo sarà il voto sulle eccezioni di costituzionalità. L'obiettivo «tassativo» resta il voto finale dell'Aula Camera il 26 novembre, per passare il testimone alla Legge di stabilità.

Un programma di lavoro che verrà sancito domani, quando la presidente della Camera Laura Boldrini porterà al voto in Aula la necessaria variazione di calendario. Sono dunque circa 480 gli emendamenti arrivati all'esame in Commissione Lavoro (dopo la prima scrematura che ne ha cancellati 78 inammissibili, ed un secondo passaggio in cui ne sono stati recuperati 18). L'attenzione resta tutta sulle proposte di modifica che servono a recepire nel testo finale l'accordo raggiunto all'interno del Pd, e quindi tra Pd e governo, e che porta correzioni anche sul delicatissimo fronte dell'articolo 18. Un risultato 'blindatò, con lo stesso premier Matteo Renzi che nei giorni scorsi ha preannunciato il voto di fiducia sul testo che uscirà dalla Commissione se ci sarà il rischio che si possa arenare in Aula («non mi faccio fermare dal pantano»).

Un eventuale voto di fiducia che non dovrebbe riaprire crepe con la minoranza Pd: «La fiducia si vota, non possiamo pensare che questo Paese possa andare in una fase di instabilità. Il governo è questo», dice Pier Luigi Bersani. Sui contenuti finali della delega al Governo sul Lavoro, così come verranno definiti in Commissione alla Camera (per poi andare - secondo programma - alla ratifica dell'Aula di palazzo Montecitorio, quindi ad una veloce seconda lettura in Senato) «il quadro è quello definito» dall'accordo nel Pd, ed al momento «non c'è altro», dice il presidente della Commissione e relatore Cesare Damiano (Pd). Certo, «non è detto che non si accolgano ulteriori spunti e cambiamenti» che emergano dal confronto sugli emendamenti; «Se c'è qualcosa che rientra nella possibilità di una soluzione senza mettere in discussione l'impianto della delega lo si fa», dice l'ex ministro.  Primo giorno di lavoro senza cambi di rotta sugli emendamenti ai primi due commi dell'articolo unico, dalla delega al governo per il riordino del sistema degli ammortizzatori sociali ai criteri generali che toccano anche punti come la rimodulazione e l'universalizzazione dell'Aspi.

La convocazione di domenica pomeriggio non ha riservato sorprese negli equilibri in Commissione: l'emendamento dell'opposizione che avrebbe spazzato via l'intera delega, abolendo l'articolo unico, è stato bocciato con 23 voti contro 15. Il punto più caldo, il riferimento all'articolo 18, è al comma sette e indicativamente - se verranno confermati il metodo di lavoro e la scadenza di giovedì 20 novembre come ultimo giorno utile - ci si dovrebbe arrivare martedì 18. «I contenuti dell'accordo sull'articolo 18 sono quelli concordati fra il ministro Poletti e il senatore Sacconi e non quelli interni al Pd», avverte il capogruppo di Ncd in Commissione, Sergio Pizzolante.

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