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Trump riparte da Abramo, i nuovi equilibri in Medio Oriente

I nuovi equilibri globali dell’era Trump passano anche da un cambiamento netto in Medio Oriente, da un rimodellamento della regione che dia più sicurezza ad Israele e isoli definitivamente l’Iran.

La concomitanza - non casuale, ma fortemente voluta anche dal tycoon - della tregua a Gaza e dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca regala plasticamente una chiave di lettura importante di come quest’area del mondo sarà tra le priorità della politica estera del nuovo presidente americano.

Sarà così perchè dal Medio Oriente allargato passano molti interessi americani e perchè una stabilità regionale garantirà a Trump libertà di movimento in altri teatri strategici.

Uno dei paradossi è che la creazione di uno Stato palestinese non è tra le priorità di Trump, eppure il neo presidente di questo tema dovrà occuparsi se vuole arrivare a vedere il Medio Oriente che ha in mente.

Trump ripartirà da dove aveva lasciato quattro anni fa, consapevole però che il 7 ottobre e le successive guerre a Gaza e in Libano, gli attacchi tra Israele ed Iran e la caduta di Assad in Siria hanno stravolto il Medio Oriente e reso tutto più difficile. Ma anche se la strada sarà più tortuosa, gli obiettivi rimangono quelli: appoggiare Israele con forza e determinazione e mettere in un angolo l’Iran.

Si riparte quindi dagli accordi di Abramo, la strategia con cui Trump ha avvicinato Israele ai Paesi arabi sunniti, in chiave anti sciita, anti Teheran. È ampiamente riconosciuto che uno degli effetti collaterali dell’attacco del 7 ottobre è stato quello di bloccare il dialogo fra Riad e Tel Aviv. Qualcuno pensa anche che questo fosse uno degli obiettivi principali dell’Iran, sponsor politico, protettore economico e fornitore militare di Hamas.

Israele aveva già concluso accordi - tra gli Stati del Golfo - con gli Emirati Arabi Uniti e con il Bahrein. Il successivo, decisivo e storico passo per un’intesa con l’Arabia Saudita sembrava davvero possibile, Poi è arrivato il 7 ottobre. Tel Aviv e Riad sono sostanzialmente favorevoli a riprendere il discorso per arrivare alla firma dell’accordo. Ma ci sono alcuni passaggi che, nella situazione attuale, diventano obbligati. Fra questi c’è la richiesta saudita per un qualche tipo di riconoscimento di uno Stato palestinese. Questo sarà un nodo molto difficile da sciogliere, se in Israele rimarrà l’attuale governo che non crede più da tempo alla soluzione di due Stati e due popoli e dove Netanyahu deve fare i conti con la destra religiosa che vuole occupare Gaza e conquistare altri territori anche in Cisgiordania.

Questo è il nodo che Trump dovrà sciogliere se vuole attuare il piano che ha in mente per questa regione che ha l’obiettivo finale di mettere definitivamente fuori gioco l’Iran e garantire un forte appoggio americano ad Israele attraverso una serie di nuove alleanza regionali di cui l’America sarà garante. La pax americana servirà anche a tenere lontane le mire cinesi e russe verso il Medio Oriente, che siano economiche e commerciali, nel caso di Pechino, o che siano politiche e militari, nel caso di Mosca. Va ricordato che l’Iran ha appena firmato un accordo strategico con la Russia e che i droni iraniani hanno un ruolo importante nella guerra in Ucraina.
Non sarà facile. La tregua in atto è molto fragile e il percorso per la seconda e terza fase molto complesso.

Hamas non si arrenderà. L’Anp è debole. Il governo israeliano è diviso. La rabbia sembra ancora prevalere sul desiderio di pacificazione. La costruzione della nuova era Trump non solo passa da qui, ma qui troverà una delle prove più difficili.

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