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Allarme terrorismo, l'Unione Europea: «Via i migranti che minacciano la sicurezza»

«Rimpatri obbligatori». Ma Israele spacca le istituzioni continentali

«Fuori i migranti che sono un rischio per la sicurezza». L’Europa ha paura. Gli attentati di Arras e di Bruxelles, gli allarmi bomba a catena, le piazze arabe in rivolta hanno spinto i vertici comunitari a rivedere, in senso restrittivo, uno dei pilastri del Patto sulla migrazione e l’asilo, quello sui rimpatri. Sul pacchetto legislativo l’Eurocamera non ha ancora preso posizione e ciò rende più agile una correzione di rotta. Che per Bruxelles è necessaria. «A chi è considerato una minaccia e ha ricevuto un ordine di rimpatrio attualmente può essere chiesto di andarsene volontariamente. Dobbiamo cambiare urgentemente questa situazione», ha annunciato Ursula von der Leyen (nella foto).

Le parole della presidente dell’esecutivo Ue hanno anticipato ciò che, alla riunione dei ministri dell’Interno a Lussemburgo, verrà proposto ai 27: sui rimpatri di chi può attentare alla sicurezza degli europei la discrezionalità dei Paesi membri deve finire. Devono essere «obbligatori». L’Ue torna quindi a riaprire un cantiere spigoloso e finora apparso eterno: quello delle riammissioni nei Paesi d’origine. L’onda emozionale degli attentati agevola, certamente, una stretta che il governo italiano - fautore del blocco delle partenze e della cooperazione con i Paesi africani - non può che guardare con soddisfazione. Il nodo resta la percorribilità delle misure. La presidenza spagnola ha presentato un documento di lavoro fatto sostanzialmente di due binari: il rafforzamento «preventivo e proattivo» della dimensione esterna della migrazione e la necessità di aumentare, anche se solo nel medio periodo, le risorse destinate al dossier.

Il fatto è che per rimpatriare servono innanzitutto gli accordi con i Paesi d’origine e di transito. Il Memorandum d’intesa con la Tunisia, finora, è stato a dir poco claudicante. La Commissione, ma anche la presidenza Ue, sono convinte che bisogna fare di più. E che serva intervenire innanzitutto sulla dimensione esterna per non tornare a innescare uno scontro sui movimenti secondari, già evocato dal Belgio nelle ore successive all’attentato di Bruxelles. L’obiettivo di fondo resta quello di preservare Schengen e non tornare a rallentare il negoziato sul Patto sulla migrazione e l’asilo. «Gli attacchi terroristici non hanno nulla a che fare con i migranti», ha sottolineato non a caso un alto funzionario dell’Ue alla vigilia del Consiglio Affari Interni. «Ma senza le misure sui rimpatri non ci sarà un Patto sulla migrazione», ha avvertito il vice presidente della Commissione Margaritis Schinas.

Il problema è che, mai come in questi giorni, Bruxelles cammina sui carboni ardenti. Alle cicliche divisioni tra gli Stati membri sui temi della sicurezza e dei migranti la guerra in Medio Oriente ne ha portata un’altra, di ben più ampia portata: quella tra von der Leyen e l’alto rappresentante Ue Josep Borrell. Nel dibattito all’Eurocamera su Israele la frattura è stata evidente. Borrell, intervenendo in Aula a sorpresa, ha ribadito il suo monito affinché Israele rispetti il diritto internazionale e non ha avallato la tesi secondo la quale il bombardamento dell’ospedale a Gaza è opera di Hamas. Von der Leyen ha mantenuto una ferrea prudenza ma per lei ha parlato Manfred Weber. Il leader del Ppe ha accusato Borrell di non essersi mai recato, in 4 anni di mandato, in Israele. «Quando visiterò Israele, visiterò anche Ramallah», ha replicato l’alto rappresentante. Domasni il Pe voterà una risoluzione su Israele. Le fratture sono dietro l’angolo ma su un punto sono tutti d’accordo: «Finora l’approccio di Consiglio e Commissione al conflitto è stato incoerente».

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