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Spari sull'inviato del Papa che porta i viveri in Ucraina: “Siamo vivi”

Per portare nella martoriata Ucraina gli aiuti per conto del Papa, a bordo del suo pulmino si è inoltrato là dove «oltre i soldati non entra più nessuno», perché i colpi si fanno più fitti. In una delle tappe della sua missione, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, insieme a due vescovi, uno cattolico e uno protestante, e un soldato di scorta, è stato coinvolto in una sparatoria nell’area controllata dai filorussi della regione di Zaporizhzhia, rimanendo illeso. «Per la prima volta nella mia vita non sapevo dove fuggire... perché non basta correre, bisogna sapere dove», ha raccontato l’alto prelato a Vatican News. «Siamo vivi», ha poi rassicurato in serata.
Una serie di foto lo mostrano impegnato a distribuire aiuti alla popolazione, in un immediato segnale di voler portare avanti il suo impegno di fronte a una guerra che ha definito “senza pietà». I materiali sono stati consegnati fino all’ultimo, compresi i rosari benedetti dal Pontefice, ha fatto sapere, spiegando che chi li riceveva li metteva subito intorno al collo.
In Ucraina per la quarta volta dall’inizio del conflitto, il cardinal Krajewski aveva già portato in dono un’ambulanza, guidandola fino a Kiev personalmente. Il prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità è stato anche a Leopoli e in altri centri. In quest’ultima missione si era già recato a Odessa e ha intenzione di raggiunge Kharkiv. Esattamente nove anni fa, ha ricordato ai media vaticani, «il Santo Padre mi ha scelto come Elemosiniere». Da allora è diventato il ‘braccio della carità’ di Francesco, sempre in prima linea nelle emergenze, dal Covid al soccorso ai più bisognosi. Molti lo ricordano anche per avere riallacciato la luce in uno stabile di Roma occupato abusivamente.
Mentre sul terreno si continua a sparare, si riaccende la tensione tra Stati Uniti e Russia. L’uso di armi nucleari o chimiche in Ucraina provocherebbe una drammatica escalation del conflitto, mai vista «dalla Seconda Guerra Mondiale», ha avvertito Joe Biden, rivolgendosi direttamente a Vladimir Putin. “Non farlo, non farlo, non farlo. Se lo facessi il volto della guerra cambierebbe», ha ammonito il presidente americano, spiegando che la risposta Usa «sarebbe consequenziale» e i russi diventerebbero «ancora di più paria nel mondo».
«Legga la dottrina, è tutto scritto lì», è stata la replica sibillina del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Un rinvio al documento sulla deterrenza reso pubblico nel 2020, che prevede tra l’altro l’impiego di armi nucleari tattiche in caso di aggressione contro la Federazione Russa che metta a repentaglio «l’esistenza» ma anche «la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato».
Sul terreno, intanto, continuano a emergere atrocità nella regione orientale di Kharkiv, riconquistata dalle forze di Kiev dopo più di sei mesi. Dopo la scoperta di una fossa comune in cui alcuni dei corpi avevano le mani legate dietro la schiena, gli investigatori continuano a raccogliere prove di torture ed esecuzioni sommarie. Nel ‘cimitero della forestà, inquadrato da immagini satellitari di marzo e agosto dalla società americana Maxar Technologies, ci sarebbero almeno circa 450 sepolture. Orrori per cui la Repubblica Ceca, presidente di turno dell’Ue, ha chiesto l’istituzione di un tribunale internazionale per i crimini di guerra.
L’avanzata dell’esercito di Kiev nel frattempo non si ferma. Secondo l’intelligence britannica, Mosca potrebbe non avere riserve sufficienti per resistere alla nuova controffensiva nel Lugansk. Ma «è probabile che difenda ostinatamente l’oblast», perché, hanno avvertito gli 007, «qualsiasi perdita sostanziale di territorio nel Lugansk minerà inequivocabilmente la strategia della Russia».

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