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Prove di pace Kiev-Mosca, spunta una bozza di accordo in 15 punti

I superstiti dei bombardamenti nel distretto di Shevchenkivskyi

La rinuncia alla sovranità sulla Crimea e sulle autoproclamate repubbliche del Donbass e l’accettazione di uno stato di neutralità con la rinuncia ufficiale ad entrare nella Nato: sono queste, secondo voci sempre più insistenti, le condizioni a cui l’Ucraina potrebbe cedere per ottenere il ritiro delle truppe russe, in cambio però di garanzie di sicurezza internazionali. E questo, al termine di una nuova convulsa giornata di trattative e contatti tra cancellerie, appare ancora come il nodo più difficile da sciogliere per mettere fine alla guerra dopo tre settimane di sangue.
Le garanzie che invoca Kiev - secondo una bozza in 15 punti in discussione tra le parti pubblicata dal Financial Times - potrebbero essere fornite da Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia, ma con la rinuncia dell’Ucraina ad ospitare basi militari straniere. In questo caso, si chiedono osservatori stranieri a conoscenza degli argomenti in discussione, in cosa consisterebbero queste garanzie? Se in futuro ci fosse un nuovo attacco russo, questi Paesi sarebbero disposti a intervenire militarmente per difendere Kiev?

La giornata si è aperta con le dichiarazioni distensive del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha parlato di un atteggiamento «più realistico» di Mosca, e quelle del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, che ha accennato alla “possibilità di un compromesso». A parlare per il capo della diplomazia del Cremlino è stato anche il linguaggio del corpo, in un’intervista concessa non alla televisione di Stato ma all’emittente privata Rbk: più rilassato rispetto ad apparizioni precedenti, Lavrov ha usato anche toni meno aggressivi, rinunciando per esempio a parlare di denazificazione dell’Ucraina e puntando piuttosto sulla «neutralità» di Kiev.

Mentre le ore passavano, però, nuove dichiarazioni hanno smorzato in parte gli entusiasmi. Il compromesso a cui pensa il Cremlino, ha detto il portavoce Dmitry Peskov, è una neutralità dell’Ucraina sul modello svedese o austriaco. Un’ipotesi subito respinta dal capo negoziatore ucraino, Mykhailo Podolyak, secondo il quale «l’Ucraina è in uno stato di guerra diretta con la Russia, pertanto il modello può essere solo ucraino», con adeguate «garanzie di sicurezza» internazionali contro eventuali nuove aggressioni da parte di Mosca.

La difficoltà a trovare un meccanismo credibile per rispondere alle esigenze di sicurezza ucraine sembra un ostacolo difficilmente superabile, anche se finora i negoziati hanno effettivamente fatto qualche passo significativo, registrato con esultanza dalle Borse. Per esempio la rinuncia della Russia alla richiesta iniziale di destituire Zelensky, che Mosca apparentemente riteneva un obiettivo facilmente raggiungibile nell’ambito di una guerra lampo che avrebbe avuto l’appoggio della vasta parte di popolazione russofona. Invece anche tra i moltissimi ucraini che parlano il russo - non solo nell’est del Paese ma anche a Kiev e in molte altre città, come Odessa - c’è stato un vasto sostegno al presidente.

Putin si è quindi ritrovato impantanato. E se anche vincesse il conflitto militare, non sarebbe facile per lui controllare il Paese. Forse per questo oggi ha assicurato che «l’obiettivo della Russia non è occupare l’Ucraina». Ma se decidesse di ritirarsi dovrebbe comunque portare a casa qualche risultato che giustifichi i costi imposti all’economia russa. Per esempio, appunto, il riconoscimento della Crimea russa e la conquista di Mariupol e della striscia di territorio che collega le repubbliche filo-russe del Donbass con la penisola. Obiettivo che gli consentirebbe anche di assicurare le forniture idriche alla stessa Crimea, oggi carenti.

«Dobbiamo accelerare le azioni a livello diplomatico», ha affermato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il cui Paese sembra quello più impegnato nell’opera di mediazione. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, che ha incontrato Lavrov a Mosca e nelle prossime ore sarà a Kiev, ha portato la proposta di Ankara di ospitare un vertice Putin-Zelensky, che per ora sembra difficilmente realizzabile. Mentre l’iniziativa di Israele sembra aver subito una brusca frenata.

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