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In fuga dall'Ucraina in Italia, Tanya racconta: "Kiev è circondata, non si può né entrare né uscire"

È fuggita da Kiev con il figlio dodicenne e non sa più nulla né della sua casa, né dei sui genitori, rimasti in Ucraina. Tanya Nesteruk è un'altra delle migliaia di donne ucraine che sono state costrette a lasciare il loro Paese, la loro vita per mettersi in salvo.

Lei ha deciso di rifugiarsi in Italia, Milano, dove aveva degli amici che potevano ospitare lei e il bambino: "Da qui è molto difficile avere informazioni da Kiev. Non ho più notizie dai miei genitori e altri parenti che sono rimasti nella zona vicino a Chernihiv. Quando finisce la guerra vogliamo ritornare in Ucraina, sempre che la mia casa rimanga in piedi. Mio figlio piange tutti giorni, dice vuole tornare a casa sua".

Nella capitale ucraina Tanya, che ha 42 anni, lavorava nel mondo della finanza e in particolare nel settore acquisti per una azienda internazionale, in questo momento, a Milano sta aiutando i cittadini ucraini che non sono riusciti a lasciare il Paese.

La situazione è complicata e l'esercito russo non sembra dare tregua: "So soltanto che a questo punto non si può più né entrare né uscire da Kiev. I ponti sono crollati - continua Nesteruk -, sparano da tutte le parte. È pericoloso uscire da casa ma anche restarvi dentro, perché i bombardamenti vengono indirizzati anche alle case dei civili".

Intanto continuano senza sosta gli arrivi ai confini italiani. Sei, sette autobus, una ventina di auto private e qualche pullmino. Sono gli automezzi giunti ieri mattina al confine di Tarvisio (Udine) con a bordo profughi ucraini, donne e bambini, soltanto in un'ora e mezza. Si tratta prevalentemente di autobus con targa polacca, mentre molto pochi sono quelli ucraini - ma che trasferiscono persone in fuga dalla guerra.

Il numero di autobus rientrerebbe nella media degli ultimi giorni e sarebbe aumentato rispetto a una settimana fa, secondo alcuni operatori del posto. Tarvisio è uno dei due punti di ingresso in Italia attraverso il Friuli Venezia Giulia, l'altro, quello triestino di Fernetti, sembra scelto da un numero più basso di automezzi che portano profughi.

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