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Libia, Calcagno racconta la prigionia: "Ci siamo camuffati e poi siamo riusciti a fuggire"

«Abbiamo sofferto la fame, la sete, le percosse, pugni, colpi di fucile, abbiamo dovuto fare i bisogni dentro una cosa di plastica»

PIAZZA ARMERINA.  «Vorrei che per prima cosa si ricordassero i colleghi che non ci sono più, Fausto Piano e Salvatore Failla, perchè immagino le famiglie cosa stanno provando adesso. Perciò il ricordo deve andare a loro. Noi abbiamo avuto la fortuna di tornare, loro no». Lo ha detto Filippo Calcagno, che ha incontrato i giornalisti per qualche minuto davanti alla sua casa a Piazza Armerina.  «Erano con noi fino al 1 marzo - ha continuato Calcagno parlando di Failla e Piano -. Da quel giorno in poi eravamo da soli e loro non so dove li avevano portati».

«Abbiamo sofferto la fame, la sete, le percosse, pugni, colpi di fucile, abbiamo dovuto fare i bisogni dentro una cosa di plastica».

«Ho lavorato molto su quella porta. Ho capito che con un chiodo si possono fare tante cose. Ho lavorato sulla serratura, o meglio sulla parte dove la serratura si va ad incastrare nella porta. Era un legno duro però pian pianino, con la caparbietà, ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino, perchè mi facevano male le dita da giorni e gli ho detto: 'dai Gino vieni, se dai due colpi siamo fuori».

Continua a raccontare Filippo Calcagno. «Il giorno prima avevamo provato e gli avevo detto 'Gino, mi dispiace, noi riusciamo a farlo'...invece poi. - ha continuato - Quando si è aperta la porta l'altro dubbio era di trovare chiusa dall'esterno la porta che dava fuori, invece era aperta e fuori non c'era più nessuno. Ci siamo camuffati perchè avevamo paura che ci fosse qualche altro gruppo fuori ci prendesse. Siamo andati sulla strada con l'intenzione di chiedere aiuto, però« cercavamo la polizia perchè era l'unica che potesse darci aiuto. E fortunatamente il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Abbiamo trovato i poliziotti e poi da lì è stato tutto un crescendo. Io dopo circa un'ora sono tornato indietro con loro per riconoscere la casa».

Sui rapitori commenta: «Non so se si trattava di uomini dell'Isis. Saranno loro a dire se sono dell'Isis o delinquenti. Per me sono dei criminali perchè quello che fanno è atroce. C'erano delle donne ed un bambino. Una famiglia di delinquenti, di criminali».

E poi racconta alcuni momenti della prigionia: «Un momento difficile è stato l'inizio perché, intanto non ci credevamo. Pensavamo di vivere un incubo. Non ti rendi conto di quello che sta succedendo. Poi pian pianino abbiamo cercato di tenerci tutti con la mente chiara, ricordando i giorni, cercando di non sbagliare data. E ci siamo riusciti, tranne che per il 29 febbraio: non ricordavamo l'anno bisestile». Parlando con i giornalisti aggiunge. «Abbiamo parlato di tutte le nostre cose, di tutto - ha aggiunto - di cosa fare quando saremmo tornati perché ci credevamo nel nostro ritorno, specialmente negli ultimi tempi Salvatore Failla aveva una fiducia ... Diceva 'dai, tranquilli. Ce la facciamo'».

 

IL RITORNO A CASA. In tarda sera ieri i due tecnici sono tornati a casa. Accolto da una piccola folla di amici, parenti e vicini, Gino Pollicardo è arrivato nel borgo di Monterosso, alle Cinque Terre. La piccola folla lo ha applaudito davanti al cortile della palazzina rossa dove vive al secondo piano e dove sono appesi striscioni di bentornato. Il tecnico ligure ha potuto riabbracciare anche la sorella Ivana e il papà Antonio, detto Pino, rimasti a casa. «Non auguro a nessuno quanto abbiamo passato in questi mesi, eravamo in mano a dei criminali non a delle bande armate - ha detto ai cronisti -. Non posso non rivolgere un pensiero ai miei due colleghi che non ci sono più. Ringrazio il Signore e la Madonna di Soviore. Scusate ora devo andare, ho un padre e una sorella che mi aspettano». Pollicardo si è poi affacciato al balcone. «Grazie a tutti, non sapete quanto è bello tornare e trovare tutto questo calore da parte vostra» ha detto.

Dalla strada applausi e cori di benvenuto. «Sono molto provato, vi prego di lasciarmi in pace per i prossimi giorni», ha detto Filippo Calgagno arrivando a Piazza Armerina, nell'Ennese, assieme alla moglie, ai due figli e alla nuora. «Soltanto oggi ho saputo della morte di Salvatore Failla e Fausto Piano...» ha aggiunto tra le lacrime, ricordando i suoi due colleghi uccisi. A Capoterra in Sardegna e a Carlentini in Sicilia, si attendono invece le salme delle due vittime, non ancora rientrate in Italia; nè appare chiaro quando questo avverrà. L'autopsia sarà centrale per stabilire le cause della morte.

 

 

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