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Tarchi: contro l'Isis scendano in campo anche i Paesi arabi

PALERMO. Mentre l' Europa tenta di individuare una linea comune per fare fronte al terrorismo jihadista, cresce anche in Italia la paura per possibili attentati. In molti, non solo tra gli addetti ai lavori, provano a ricostruire cause ed effetti; ci si interroga sulle ragioni di tanto odio - di matrice fondamentalista- nei confronti del cosiddetto mondo occidentale. Sullo scenario (di guerra?) in corso, nonché sui fatti di Parigi, si è espresso il politologo Marco Tarchi, professore ordinario all'Università Cesare Alfieri di Firenze, da oltre trent'anni promotore della cultura delle nuove sintesi, direttore delle riviste Diorama letterario e Trasgressioni.

Esiste, a suo avviso, una relazione tra fenomeni migratori e terrorismo islamico?
«Se si pensa ad un rapporto causale, la risposta è -ovviamente - no. Tuttavia, al di là del fatto che la vastità dei flussi può consentire ad Isis di infiltrare tra i "migranti" propri adepti, come dai tragici avvenimenti parigini pare sia accaduto, non c' è dubbio che gli immigrati costituiscono un bacino ideale di proselitismo e reclutamento, per lo stato d' animo di frustrazione e rancore che in molti di loro si crea nel momento in cui sperimentano la marginalità e precarietà in cui la scelta di abbandonare il paese natale li ha proiettati».

Lei ha analizzato il populismo come fenomeno politico. Che presa possono avere in tal senso, a livello mediatico ed elettorale, le posizioni di chi auspica «nuove crociate» - con il mondo occidentale contrapposto allo Stato islamico - o scontri di civiltà?
«Nel breve termine, giocare al rialzo sul senso di paura scatenato dal terrorismo dei fondamentalisti islamici e fomentare l' idea che uno scontro di civiltà sia inevitabile (e che le classi dirigenti attuali siano incapaci di condurla) può fruttare ai movimenti populisti consistenti dividendi elettorali, ma alla lunga mantenere un atteggiamento di questo tipo, soprattutto quando comporta l' idea di mandare soldati a farsi ammazzare in terre lontane, può trasformarsi in un boomerang».

Perché tanto odio da parte dell' Islam radicale contro l' Occidente?
«Per varie ragioni, due in particolare. Il presunto odio teologico verso il cristianesimo non c' entra niente. Da un lato c' è il disprezzo per la cultura materialista, edonista, dissacratrice, individualista dominante nel cosiddetto Occidente, che agli occhi degli islamisti trasgredisce tutte le norme di quell'ordine naturale in cui credono. Dall'altro c' è la volontà di rivalsa per le umiliazioni che prima la colonizzazione e poi le recenti "guerre umanitarie" hanno fatto subire ai popoli mediorientali. Senza dimenticare la permanente frustrazione per la condizione in cui vivono i palestinesi».

La risposta militare euro -russa, l' alleanza tra Hollande e Putin «uniti come contro Hitler», può debellare il fenomeno del terrorismo islamico?
«Nessuna risposta solo militare può sradicare il fenomeno. Può, a certe condizioni, contenerlo, e l' azione russa, che Obama aveva in un primo momento deprecato, prevedendone esiti catastrofici, e che ora è costretto ad apprezzare, sta a dimostrarlo. Tuttavia è noto che con i bombardamenti aerei anche su questo versante non si ottiene molto. Occorrerebbe scendere sul terreno, e per di più farlo con tecniche - spietate - da commando, non con criteri convenzionali. Non mi pare che i paesi "occidentali" siano in condizione di farlo».

Quali sarebbero le alternative agli interventi militari, per la soluzione del conflitto?
«Un processo politico che coinvolga direttamente molti dei paesi arabi e/o islamici della ragione potrebbe dare frutti. Ma il ruolo nefasto sin qui svolto, per le loro ambizioni di egemonia e di astio anti -persiano, dall' Arabia Saudita e dai paesi del Golfo, che gli Stati Uniti considerano alleati irrinunciabili, rende molto scettici sui tempi che la messa in atto di questa ipotesi richiederà».

Un dialogo tra le «forze democratiche» europee e occidentali e l'Islam «moderato» può effettivamente arginare i terroristi?
«Dipende. Se queste "forze" sono le stesse che hanno istigato e applaudito i numerosi episodi della fallimentare "democratizzazione a mano armata" del Medio Oriente - dalla guerra del Golfo agli attacchi ad Iraq, Li bia e, di fatto, Siria -c' è da dubitarne, perché la loro ambizione di dettare a questi paesi modi di vita e forme politiche non potrà che continuare a provocare reazioni ostili».

Da Charlie Hebdo al Bataclan: perché Parigi è il primo bersaglio dei jihadisti?
«Perché la Francia, con la sua pretesa di essere "il paese dei diritti dell' Uomo" e di incarnare una laicità che spesso sfocia nell'aperta irrisione dei sentimenti religiosi (si dimentica troppo spesso la trivialità blasfema delle vignette del giornale satirico, che sono giunte a raffigurare Maometto nell'atto di sodomizzare un maiale), rappresenta ai loro occhi la quintessenza di ciò che detestano».

Roma è nel mirino del califfato?
«Questo, solo i dirigenti di Isis e i loro accoliti lo sanno.
La segnalazione in questo senso del Fbi pare confermarlo, ma non va dimenticato che gli Usa, nello scenario geopolitico planetario, giocano una loro partita, non sempre coincidente con gli interessi europei. Suscitare apprensione fra le popolazioni di taluni paesi - e magari favorire le tattiche di "unione nazionale" dei loro governi - può farne parte. Ciò detto, Roma è un bersaglio simbolico molto appetibile».

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