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Volontarie italiane rapite in Siria, Vanessa: "Io e Greta ci ritorneremo"

"Non ho nessun altro senso di colpa se non quello di avere fatto preoccupare le persone che mi vogliono bene e, ovviamente, anche l'Italia. Abbiamo ringraziato lo Stato, senza il cui intervento non sarei qui in questo momento"

ROMA.  "Non ho nessun altro senso di colpa se non quello di avere fatto preoccupare le persone che mi vogliono bene e, ovviamente, anche l'Italia. Abbiamo ringraziato lo Stato, senza il cui intervento non sarei qui in questo momento". Vanessa Marzullo, una delle due volontarie italiane rapite e liberate in Siria, parla così d un quotidiano per la prima volta dalla liberazione. "In questi due mesi è come se mi fossi riparata dentro un guscio - racconta: - da una parte è stato istinto di autoprotezione. Dall'altra anche un po' di vergogna", ma "non come la intendono tutti quelli che ci hanno buttato addosso palate di fango".

"La vergogna che intendo è un'altra. È andare in giro e vedere che uno ti guarda in faccia con l'aria di chi pensa: 'Eccola, adesso è qua. Beata e tranquilla. Ma se non c'era lo Stato che pagava... Se non c'eravamo noi cittadini che pagavamo...'. È una sensazione difficile da spiegare". "Se per vergogna si intende imbarazzo per quello che abbiamo fatto, io non mi vergogno di niente. Anzi, ne vado fiera". Vanessa parla della sua esperienza con l'altra cooperante, Greta Ramelli. "Siamo andate in Siria da volontarie con il progetto per il quale abbiamo lavorato per quasi tre anni: 'Assistenza sanitaria in Siria'". Non vai "con l'Onu a portare aiuti. Non funziona così". "Non era il primo viaggio in Siria e non sarà l'ultimo", promette. I cinque mesi nelle mani dei rapitori sono stati difficili ma "siamo state trattate bene", sottolinea, "mai subito abusi né violenze. Né ricevuto direttamente minacce di morte. Siamo state fortunate. Credo ci sia molta differenza tra come vengono trattati gli uomini e le donne".

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