Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

In Sicilia allevatori in ginocchio, le stalle a rischio per l'effetto guerra

Il settore lattiero-caseario è fra quelli che più risente del momento difficile

Gli allevatori siciliani lanciano l’allarme: «Siamo costretti a lavorare a costi pari, o addirittura inferiori ai ricavi, a causa dei rincari insostenibili sul mais e sull’energia», sottolinea Marilina Barreca, presidente della Federazione degli Allevatori e responsabile di Coldiretti Donne Impresa di Palermo. Ma anche il presidente di Legacoop Sicilia, Filippo Parrino, ha lanciato l’Sos per tutto il comparto zootecnico: «Senza un intervento straordinario entro la fine di quest’anno in Sicilia potrebbero chiudere i battenti almeno il 30 per cento delle stalle. E analogo destino toccherebbe alle aziende di trasformazione».

La Regione

L’assessore regionale all’agricoltura, Toni Scilla, ha assicurato che la Regione metterà in campo aiuti per alcuni di milioni di euro in maniera da fronteggiare l’emergenza zootecnia bovina da latte: nei prossimi giorni tra i vertici di Legacoop Sicilia e l’esponente del Governo regionale ci sarà un incontro per concordare come erogare le somme e stabilire i relativi importi.

Caro gasolio e caro mangimi

«La situazione è drammatica – continua Barreca, che a Gangi possiede un allevamento di vacche da latte e produce formaggi tipici e altre specialità – il caro bollette e le difficoltà di approvvigionamento di concimi e mangimi, oltre ad alcune speculazioni, stanno facendo sprofondare le imprese in una grave crisi. Il gasolio per le macchine che servono a dar da mangiare agli animali è passato da 75 centesimi a un euro e 25 centesimi, così come per i mangimi ci vogliono 50 centesimi in più al chilo: pur avendo diminuito la manodopera e le giornate lavorative, arriviamo a fatica a fine mese. In tanti, invece, proprio non ce la fanno ed il rischio è che invece di puntare all’eccellenza, qualcuno possa abbassare gli standard magari scegliendo prodotti esteri di minore qualità ma più convenienti».

Produrre in perdita

Per Pino Occhipinti presidente della coop Latterie Ragusane, «quello che più preoccupa è che si produce in perdita. Fino a un paio di mesi fa per alimentare una vacca da latte bastavano sei euro, oggi ce ne vogliono 14. Ogni capo produce 40-45 litri di latte al giorno che viene pagato 45 centesimi al litro. Il conto è presto fatto: un allevamento di dimensione media perde ogni mese da 8 a 9 mila euro» e in alcuni casi, come in provincia di Caltanissetta, oltre all’impennata dei costi energetici, le aziende si sono viste triplicare il costo dell’acqua.

Alle stelle mais, orzo e soia

Le materie prime hanno raggiunto prezzi stellari: i costi di mais, orzo e soia, ovvero i tre quarti di ciò che compone il mangime dato agli animali, sono saliti del 40 per cento in un solo mese di guerra in Ucraina. I porti dell’Ucraina sul Mar Nero sono chiusi con il risultato che nell’Isola sono andate perdute il 57 per cento delle importazioni di mais, il 42 per cento dei semi di colza e il 47 per cento dei semi di girasole, tutti destinati a diventare mangime per animali.

La batosta energetica

Ancora più pesante la batosta sull’energia commerciale: l’elettricità è cresciuta del 63,1 per cento, il gas del 42,9 per cento e il carburante del 19,6 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, aumenti che pesano direttamente sulle aziende agricole e che si ribaltano sui consumatori con i beni alimentari che oggi si pagano il 5,2 per cento in più con picchi del 9,1 per cento sui vegetali e del 7 per cento sul pane e i cereali.

Lo stop alle importazioni

A spiegare meglio cosa sta succedendo è Salvatore Romeo, titolare della Bioroman di Termini Imerese, una delle maggiori ditte siciliane specializzate nella produzione e nella commercializzazione di mangimi, che ha al suo interno 44 dipendenti e può contare su circa 24 milioni di fatturato: «Lo stop delle importazioni dall’Ucraina – dice l’imprenditore – ha fatto raddoppiare il prezzo del mais e purtroppo siamo anche costretti a chiedere agli allevatori il pagamento in contanti di una parte di quanto acquistano perché ci sono problemi di liquidità. Se prima della guerra un carico di 5 mila tonnellate costava un milione di euro, adesso è necessario versarne due: un incremento che ha fatto andare in sofferenza gli allevatori ma che di fatto ha colpito tutta la filiera, da chi importa al consumatore finale. La situazione è peggiore perfino di quella vissuta durante la pandemia».

Le scorte

Al momento, però, sembra scongiurato il pericolo che possano finire le scorte di materie prime agricole per la produzione dei mangimi: i canali di rifornimento alternativi sono già stati attivati e adesso le aziende siciliane si rivolgono ai produttori di Serbia, Croazia, Slovenia, Austria, Romania, Moldavia e in particolare all’Ungheria che, dopo aver bloccato le vendite all’estero per garantire il mercato nazionale, sembra aver riaperto le esportazioni. «Avevamo scorte per due mesi – puntualizza Romeo – ma siamo riusciti ad acquistare mais dalla Serbia ed anche dal Sud Africa e dall’Argentina, seppure a prezzi più alti, con una nave che è attraccata nel porto di Pozzallo».

Le coop casearie

Nella situazione peggiore si trovano le coop casearie che subiscono l’aumento dei prezzi su due fronti, quello della produzione del latte e quello della trasformazione: «Gli allevatori devono fronteggiare aumenti spropositati su mangimi, fertilizzanti e gasolio, pagando sempre alla consegna o addirittura anche in anticipo – conferma il presidente Occhipinti - e le aziende zootecniche siciliane, alle prese con problemi di liquidità senza precedenti, per sopravvivere chiedono il pagamento del latte alla consegna».

Persone:

Caricamento commenti

Commenta la notizia