PALERMO. Le società regionali che non pubblicheranno sul proprio sito internet i dati relativi a incarichi, compensi e organi di vertice non riceveranno più un euro dall’amministrazione. Per restare in vita dovranno anche dimostrare che i servizi svolti costano alla Regione meno di un eventuale affidamento ai privati. Infine dovranno mettere mano ai bilanci e sanare i conti perché quelle che registreranno perdite per quattro anni su cinque saranno sciolte.
È questo l'ultimatum lanciato dall’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, ormai giunto nell’ultima fase del maxi piano di riordino delle società partecipate, un settore che conta 7.300 dipendenti e negli ultimi cinque anni, secondo la Corte dei Conti, è costato alla Regione un miliardo e 315 milioni.
La commissione Bilancio all’Ars, presieduta da Vincenzo Vinciullo, ha già esitato il piano che attende da mesi la firma del presidente della Regione, Rosario Crocetta. A quel punto alcune delle società più grosse dovranno rivedere il costo dei servizi svolti. Ast, Servizi ausiliari Sicilia e Seus che gestisce il 118, dovranno ad esempio dimostrare che il costo sostenuto dalla Regione è più conveniente rispetto alla gestione non pubblica.
«Le tariffe pagate dalla Regione non devono servire a coprire i costi delle società» aveva spiegato il ragioniere generale Salvatore Sammartano. Lo stesso concetto è stato espresso in una nota da Maurizio Pirillo, a capo anche dell’ufficio Informatico della Regione, che ha chiesto al presidente di Sicilia e-Servizi, Antonio Ingroia, di dimostrare che i sette milioni e mezzo che la Regione eroga ogni anno garantiscono un servizio superiore a quello che svolgerebbe una società privata.
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