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Turismo, in Sicilia sfida da 20 miliardi

Anticipazione del piano: per gli investimenti una cifra enorme. Il corretto uso di questi fondi può rilanciare l’economia

PALERMO. Molto si è fatto nell'ultimo biennio sul fronte della spesa dei fondi comunitari. Malgrado le critiche sulla «dispersione», il 51% dei fondi europei è stato infatti concentrato in appena 12 grandi progetti.

Ma, anche a prescindere dalle lentezze (vere) e dalla dispersione (non sempre vera), i fattori dello sconforto restano tanti. La spesa europea, tanto per dirne una, dovrebbe essere ancorata ad una serie di piani organici che invece in Sicilia mancano del tutto o, quando anche ci sono, riportano soltanto indicazioni generali, necessarie per carità, ma comunque sempre avulse dalla concreta esecutività.

Risultano ancora del tutto assenti: il Piano di gestione del Bacino idrografico, il Piano dei Rifiuti, il Piano dei Rifiuti Speciali, il Piano della Qualità dell'Aria, il Piano Alluvioni, i Piani di Protezione civile e Sismico; non dovrebbe sfuggire che la loro mancata adozione entro tempi brevi impedirà l'utilizzo delle risorse comunitarie. Ci sono poi altri piani, come il Pears (piano energetico) ed il Piano delle Infrastrutture e dei Servizi di Trasporto, già presentati ma ancora da definire; si tratta di documenti rimasti allo stadio di idea e mai declinati in scelte operative.

Il «nuovo» Piano turismo - possa piacere o meno - ha comunque un'anima; c'è un filo conduttore, una strategia di attacco che, se ancora da articolare concretamente, poggia comunque su una idea forte. È quella di concentrare gli interventi su alcuni punti fermi e per molti anni del tutto ignorati: i siti «patrimonio dell'umanità» classificati dall'Unesco, e renderli una destinazione turistica privilegiata, luoghi dove promuovere un «insieme di prodotti, di servizi e di attrattive naturali e culturali» capaci di richiamare significativi flussi turistici. I siti Unesco sono la Valle dei Templi, la Villa romana del Casale, le Isole Eolie, il barocco della Val di Noto, Siracusa con la necropoli di Pantalica ed il Monte Etna.

Con i poli di attrazione dei siti Unesco dovrebbero poi integrarsi anche il cosiddetto «albergo diffuso», codificato con legge regionale, il prezioso patrimonio delle tante dimore storiche della Sicilia ed ancora i vari «turismi» come quello termale, nautico, religioso, congressuale, enogastronomico, delle rappresentazioni teatrali, etc; il tutto in chiave antistagionale.

Il Governo ha dunque tracciato le linee di un Piano capace sulla carta di coniugare insieme beni culturali ed ambiente come fattori capaci di generare turismo; è interessante e per molti versi apprezzabile che il nuovo Piano mandi in soffitta una serie di luoghi comuni. Il turismo, viene detto a chiare lettere, non basta da solo a rilanciare la Sicilia, senza strutture adeguate. Tanto meno affidando le proprie chance esclusivamente all'abusato binomio sole-mare. Tanto meno ignorando le enormi potenzialità divulgative del web. Le cifre del fallimento sono lampanti: Sicilia 14 milioni all'anno di presenze turistiche; Veneto 64 milioni, Toscana 44 milioni, Emilia Romagna 38 milioni. Ancora più beffarda è poi la considerazione che le regioni citate non «vivono» certo di turismo, essendo di ben altra caratura il resto della loro struttura produttiva.

La seconda presa di coscienza riguarda la decisione (per ora annunciata) di archiviare le modalità di spesa degli ultimi quindici anni di spesa dei fondi europei. Un auspicio questo quanto mai condivisibile e che si accompagna all'esplicita affermazione che a questa partita non possono certo restare estranei l'agricoltura, l'agroalimentare ed il sistema delle piccole e medie imprese, in Sicilia notoriamente relegate nel limbo dell'oblio.

È fattibile? Potrebbe funzionare? Difficile dirlo allo stato delle cose, ma certo alcuni elementi fanno ben sperare. Il Piano turismo richiama il «caso Cianciana», un piccolo paese in provincia di Agrigento, con circa 4 mila abitanti. Ebbene, in pochi anni 120 famiglie straniere hanno spontaneamente stipulato oltre cento atti di compravendita, acquistando abitazioni sia in pieno centro storico che in periferia. Tra le case prescelte, vecchi ruderi e casali messi a nuovo e ristrutturati. Centoventi famiglie di inglesi, canadesi, statunitensi, polacchi, danesi, bulgari, russi, svedesi, norvegesi, francesi, austriaci, ungheresi, irlandesi e cubani, rappresentano oggi più del 10% della popolazione residente di Cianciana. Aspettiamo ora che il piano turismo diventi presto un... Piano.

 

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