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Covid, antivirali e monoclonali poco usati anche se sono «armi potenti»

Un tecnico mostra una fiala di vaccino monoclonale

Come «antidoto» all’aumento dei contagi da Covid-19 che si stanno registrando nelle ultime settimane e per proteggere i soggetti più fragili dai rischi di malattia grave, ci sono degli «strumenti potenti» che però, in Italia, non riescono ancora a sfondare: sono i farmaci antivirali orali e gli anticorpi monoclonali. Lievissimo è infatti l’incremento nell’utilizzo di tali terapie, che il direttore Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza definisce «strumenti importanti» contro il virus e le sue varianti.

L’ultimo report sull'uso dei monoclonali, realizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), indica infatti come da marzo 2021 al 25 agosto 2022 sono stati avviati 75.789 trattamenti con anticorpi monoclonali contro il Covid-19, di cui 68.763 per il trattamento precoce in pazienti a rischio di forma grave di malattia e 7.026 con la combinazione tixagevimab e cilgavimab (Evusheld) come profilassi pre-contagio in pazienti con sistema immunitario molto debole. Rispetto ai 14 giorni precedenti, si registra un aumento dell’1,7% di prescrizioni, dettato soprattutto dalla crescita dell’utilizzo di Evusheld.

Parallelamente, il 17/mo report Aifa sugli antivirali contro Covid-19, indicati per pazienti non ospedalizzati ma con rischio di sviluppare forme gravi di malattia, indica che sono stati finora 118.081 i pazienti che hanno ricevuto un trattamento antivirale precoce in Italia (+5,7% rispetto all’ultimo monitoraggio di 14 giorni fa). Di questi, 100.000 sono stati trattati a domicilio con Paxlovid di Pfizer o molnupiravir di Merck/Msd, mentre 18.000 sono stati trattati con remdesivir (Veklury), somministrabile in ambulatorio. Inoltre, un ampio studio pubblicato su Lancet infectious diseases, condotto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha dimostrato che la terapia a base di antinfiammatori (in particolare non steroidei, i Fans), avviata all’inizio dei sintomi, riduce il rischio di ospedalizzazione per Covid dell’85-90 per cento.

Ma sono soprattutto antivirali e monoclonali che possono fare la differenza: «Considerato il lieve incremento nel numero dei nuovi casi e la possibilità che inizino a circolare nuove varianti - avverte Rezza - ricordiamo l’importanza di alcuni potenti strumenti che abbiamo per combattere l’epidemia. Innanzitutto i vaccini, e ci sono ancora troppi over 60 che non hanno effettuato la seconda dose booster, ma anche i farmaci antivirali e gli anticorpi monoclonali che sono molto importanti per proteggere le persone che sono a più alto rischio dalle conseguenze peggiori della malattia».

Intanto, l’attuale quadro pandemico invita alla prudenza, con tre regioni (Basilicata, Puglia e Lazio) che questa settimana sono classificate a rischio 'moderatò. Secondo il monitoraggio settimanale Iss-ministero della Salute, i contagi si confermano in crescita con un’incidenza settimanale a livello nazionale che tocca 277 ogni 100.000 abitanti. Scende invece l’indice di trasmissibilità Rt, che è pari a 0,74, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente. Anche gli ospedali sono sempre meno affollati di pazienti Covid, con il tasso di occupazione in terapia intensiva al 2,4% e quello in aree mediche che scende al 9,4%. Entrambi gli indici sono sotto la soglia di allerta. Nelle 24 ore, invece, secondo il bollettino del ministero della Salute, sono 21.998 i nuovi contagi (ieri 23.438). Le vittime sono 99, in aumento rispetto alle 84 di ieri. I tamponi effettuati sono 148.412 ed il tasso è al 14,8%, in calo. Negli ospedali sono 231 i pazienti in intensiva (-3) ed i ricoverati nei reparti ordinari sono invece 5.827, nelle ultime 24 ore 177 in meno.

Ma a preoccupare sono principalmente le varianti del virus. Potrebbe diventare la responsabile di una nuova ondata autunnale di Covid-19, ad esempio, la sottovariante BA.2.75 di Omicron originaria dell’India e nota come Centaurus. Una ricerca condotta in Italia, nell’Università dell’Insubria, e pubblicata sull'European Journal of Internal Medicine, evidenzia infatti che la nuova sottovariante ha un’elevata capacità di aderire alle cellule umane.

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