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Eitan: il nonno agli arresti domiciliari in Israele per il rapimento del bambino

Il nonno di Eitan interrogato e messo ai domiciliari: svolta sul caso del bambino di sei anni conteso dai due rami della famiglia dopo la tragedia del Mottarone in cui ha perso 5 familiari tra cui padre, madre e il fratello.

L’unità speciale 433 della polizia israeliana ha interrogato Shmuel Peleg, nonno materno di Eitan, contestandogli le accuse di aver «rapito il nipote e averlo portato in Israele». Al termine è stato rilasciato, ma con l'obbligo di restare nella sua abitazione almeno fino a venerdì 17 settembre (i media israeliani definiscono esplicitamente la misura restrittiva come «arresti domiciliario»), e gli ha sottratto il passaporto.

Nella stessa abitazione continua a vivere anche Eitan. Allo stato non pare che la decisione delle autorità israeliane sia legata a una richiesta o a un mandato d’arresto italiano: «A me risulta che gli sia stato chiesto di restare a disposizione della polizia», spiega il legale di Peleg, l'avvocato Paolo Sevesi, che sta seguendo gli sviluppi dell’inchiesta della procura di Pavia che ha iscritto nel registro degli indagati sia il nonno che la nonna di Eitan per sequestro di persona.

I due però ribadiscono la correttezza del loro operato. «Il trasferimento di Eitan in Israele è avvenuto in maniera legale e dopo una consultazione con esperti di diritto», ha detto Peleg, secondo quanto riferito da Gadi Solomon, un portavoce della famiglia. Riguardo all’interrogatorio davanti alla polizia israeliana, Peleg - ha detto il portavoce - ha collaborato «in pieno con gli investigatori ed ha risposto a tutte le domande». Si è presentato alla polizia dopo essere stato convocato per chiarire le modalità del «ritorno di Eitan a casa sua in Israele», come avrebbero voluto - sostiene il nonno - i suoi genitori. Solomon ha quindi confermato la «limitazione» dei movimenti di Peleg fino a venerdì.

«Domani speriamo di sapere, grazie alla polizia israeliana, dov’è esattamente Eitan e speriamo così che torni presto da noi», ha detto Or Nirko, lo zio paterno del bambino, che saluta positivamente le notizie provenienti da Tel Aviv. «I domiciliari? È un buon inizio. Spero solo che questa saga finisca al più presto per il benessere mentale del bambino», conclude lo zio, marito di Aya Biran, tutrice legale di Eitan.

Dunque, continua lo scontro tra le famiglie, i rami paterno e materno, così come proseguono le indagini della Procura di Pavia che allargano il campo delle presunte complicità nel rapimento. Certo, quello che appare sempre più probabile è che la definizione della triste vicenda del piccolo Eitan, possa arrivare dai contatti diplomatici, dalle decisioni di Italia e Israele e da quelle dell’autorità giudiziaria del Paese mediorientale.

La zia paterna e tutrice Aya Biran, dopo che quattro giorni fa il bambino è stato portato in Israele dal nonno materno, ha presentato, attraverso legali israeliani, un’istanza al Tribunale di Tel Aviv per chiedere di far rientrare il piccolo in Italia sulla base della Convenzione dell’Aja. Infatti, l'articolo 29 della Convenzione dell’Aja consente al titolare del diritto di affido di «rivolgersi direttamente al competente tribunale per chiedere il rientro del minore sottratto, anche senza l’intermediazione delle autorità centrali». «È un’istanza prodromica e preparatrice per un’eventuale attivazione della procedura», ha spiegato l’avvocato Cristina Pagni, che assiste in Italia Aya, assieme ai legali Armando Simbari e Massimo Saba parlando dell’iniziativa della zia paterna del bambino. «C'è ancora in corso una valutazione ed è ancora aperto il tema se ad attivare la procedura sarà l’Italia o Israele», ha chiarito. Potrebbe, infatti, arrivare anche una richiesta dai legali della tutrice che dovrà passare per il ministero della Giustizia.

Nel frattempo, l’ambasciata d’Israele a Roma ha fatto sapere che sta seguendo la vicenda sin dal momento in cui si è verificato il disastro della funivia il 23 maggio e anche questo triste caso e che se ne occuperà in collaborazione con l’Italia, a beneficio del minore e in conformità con la legge e le convenzioni internazionali pertinenti. «Si spezza il cuore davanti agli ultimi e sorprendenti sviluppi legati al bambino», ha spiegato l’ambasciatore Dror Eydar. Sul fronte dell’inchiesta, oltre all’attivazione di rogatorie internazionali, perché il bimbo sarebbe partito assieme al nonno e forse anche ad altre persone da Lugano con un volo privato, dopo aver superato il confine svizzero in macchina e grazie a un passaporto non riconsegnato, si allunga l’elenco degli indagati. È stata iscritta pure la nonna materna Esther, detta Etty, Cohen, ex moglie di Peleg, anche lui, ex militare e forse vicino ad ambienti dei servizi segreti israeliani, già accusato di sequestro di persona aggravato e difeso dai legali Paolo Polizzi, Paolo Sevesi e Sara Carsaniga. In più, è in corso un lavoro di verifica di inquirenti e investigatori sul tragitto e sulle eventuali presenze di altri che hanno partecipato al blitz, senza trascurare l’ipotesi di un appoggio «strutturato».

Ieri era stato lo zio paterno di Eitan, Or Nirko, ad accusare la nonna materna di complicità nel sequestro in una più ampia storia che pare intrecciare pure interessi economici legati ai risarcimenti per il disastro della funivia e motivi di educazione religiosa del bimbo. Anche se è stato riferito che la nonna sarebbe rientrata in Israele prima del giorno del rapimento. La stessa Aya aveva raccontato comunque che il nonno, quando è arrivato a prendere Eitan per la visita che gli era stata concessa, ha parcheggiato lontano dall’abitazione e non è chiaro se nell’auto ci fossero altre persone ad attenderlo. Intanto, Nirko ha lanciato nuove accuse dicendo che «la famiglia Peleg trattiene Eitan come i soldati dell’esercito israeliano sono tenuti prigionieri nelle carceri di Hamas». Per poi rivolgere, però, anche un appello chiedendo di poter sapere dove si trova Eitan («Non è in ospedale», ha detto) e come sta. «Sta bene», ha fatto sapere la famiglia Peleg, mentre il nonno continua a ripetere di non averlo rapito ma di aver agito «d’impulso per il suo bene». Poi, la richiesta dello zio per una «soluzione politica» e un riferimento a personaggi strani che si sarebbero avvicinati al piccolo: «Nel corso di una visita precedente Eitan è stato tenuto per due ore e mezza dentro la macchina della nonna materna e interrogato da una persona sconosciuta, che diceva che il suo lavoro è “cambiare i baffì”».

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