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Eitan curato in un ospedale di Tel Aviv, il nonno indagato per sequestro di persona

Il piccolo Eitan è attualmente curato da medici in un ospedale alla periferia di Tel Aviv

Eitan nella cabina poco prima di precipitare

Il piccolo Eitan è attualmente curato da medici in un ospedale alla periferia di Tel Aviv. Lo ha detto la famiglia materna del bambino in Israele citata dalla tv Canale 12. "L'amato Eitan - ha spiegato - è tornato in Israele dopo aver perso tutta la sua famiglia, come volevano i suoi genitori".

Non appena arrivato in Israele - ha aggiunto - Eitan è stato affidato "ad uno staff medico presso l’ospedale Sheba". La stessa zia Gali Peleg questa mattina aveva spiegato alla radio 103 che il piccolo "adesso riceve l’assistenza" medica e psicologica 2migliore possibile".

Smhuel Peleg, intanto, risulta indagato a Pavia per sequestro di persona aggravato. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Mario Venditti, si scava anche su presunte complicità di altre persone nel blitz che ha portato al presunto rapimento. L’uomo sarebbe arrivato in Israele col bambino su un volo privato probabilmente partito da Lugano in Svizzera.

Gli avvocati di Peleg, Sara Carsaniga, Paolo Polizzi e Paolo Sevesi sostengono che il loro assistito "dopo aver tentato invano per mesi di poter portare la voce della famiglia materna nel procedimento civile di nomina del tutore e dopo essere stato estromesso dagli atti e dalle udienze e preoccupato dalle condizioni di salute del nipotino, ha agito d’impulso". Gli avvocati si dicono "fiduciosi che, una volta ripristinata la correttezza del contraddittorio nei vari procedimenti civili, e ottenute rassicurazioni dai medici israeliani, potrà tornare a discutersi del suo affidamento nelle sedi opportune. Le azioni di prepotenza sono sempre sbagliate - aggiungono - però mettiamoci nei panni di un signore che in terra straniera perde 5 familiari tragicamente, al quale i medici non parlano e gli avvocati dicono che il procedimento civile di tutela di Eitan è stato fatto in modo sommario. Noi ci impegneremo perchè vengano riconosciuti i diritti della famiglia materna, dopodichè confidiamo che Shmuel ritorni ad avere fiducia nelle istituzioni Italiane e ci impegneremo in tal senso".

L’11 agosto scorso il giudice tutelare di Pavia emanò un decreto con cui vietava l’espatrio a Eitan salvo che in presenza o con l’autorizzazione della sua tutrice, la zia Aya. È quanto si apprende da fonti legali. Il decreto era stato trasmesso alla Prefettura e alla Questura di Pavia con l’ordine di diramarlo a tutti i punti di frontiera e di inserirlo nelle banche dati delle forze di polizia che controllano le frontiere.

"Ora la battaglia legale per il piccolo Eitan si sposta in Israele e la decisione del giudice israeliano non è scontata". È la convinzione di Ciro Cascone, capo della procura per i minorenni di Milano, secondo il quale "è evidente che siamo di fronte a una sottrazione internazionale di minore" e in questo caso "la Convenzione dell’Aja, a cui anche Israele ha aderito, parla chiaro. Quel che mi auguro è che il giudice israeliano la applichi rigorosamente, come facciamo in Italia. Non come a volte purtroppo accade in altri Paesi, in maniera domestica".

Cascone spiega che la Convenzione dell’Aja prevede che "si faccia un ricorso al giudice del luogo dove è stato portato il bambino. Dopo aver accertato che vi è stata una sottrazione illecita (semplicemente perchè Eitan risiedeva qui e chi lo ha portato via non aveva la sua custodia), il giudice dello "Stato rifugio", come si dice in gergo, dovrà ordinare il rimpatrio nel Paese di residenza. Le successive decisioni sul piccolo saranno prese dal giudice italiano".

Ma non tutti gli Stati applicano queste regole alla lettera, tant'è che "purtroppo è capitato, spero e credo che non succederà in questo caso, che alcuni Paesi favoriscano i loro cittadini. È successo per esempio con alcuni Paesi dell’Est Europa e qualche volta con gli Usa", sottolinea il magistrato, che sui tempi della procedura prevede che "ci vorrà qualche mese" perchè "innanzitutto deve intervenire l’autorità centrale, quindi il ministero della Giustizia italiano deve scrivere all’omologo israeliano" quindi "dal momento in cui la vicenda arriva davanti al giudice israeliano, quest’ultimo ha trenta giorni per decidere".

"Ovviamente - conclude Cascone - tutto dipende anche dalla velocità del canale diplomatico perchè, è inutile girarci intorno, questa è una vicenda che assume dei contorni diplomatici molto importanti".

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