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Dall'inglese a quella di Napoli, la mappa delle varianti: è urgente bloccarle

Ne arrivano continuamente di nuove perché, come tutti i virus, il SarsCoV2 non fa che mutare e in pochi mesi tre sono riuscite ad affermarsi: la variante inglese B.1.1.7 è la più nota e al momento sembrerebbe la più efficiente nella capacità di diffondersi, fra il 30% e il 50% maggiore rispetto a quanto faccia il virus originario; la variante sudafricana N501Y e quella brasiliana P1, delle quali stanno aumentando le segnalazioni.

Le ultime arrivate sono le sette isolate negli Stati Uniti e la variante di Napoli, che ha fatto la sua comparsa a metà dicembre e che finora è stata individuata in 13 Paesi. "Oggi siamo in grado di vedere le varianti grazie alle sequenze genetiche del virus SarsCoV2", ha detto il genetista Giuseppe Novelli, dell'Università di Roma Tor Vergata. Si tratta, ha aggiunto, delle cosiddette Vus, ossia Variant of uncertain significance, varianti dal significato incerto.

Vale a dire che i loro effetti non sono immediatamente noti, ma richiedono ricerche in laboratorio e a livello di popolazione: "Non basta identificarle perché - ha osservato il genetista - va definita la loro prevalenza nella popolazione e vanno identificate le loro funzioni".

Per questo, secondo Novelli, è importante monitorare le varianti con il sequenziamento. L'urgenza di bloccarle è però più veloce rispetto alle esigenze della ricerca. In condizioni ideali, infatti, si farebbero ricerche al computer, sulle cellule e poi test su piccoli animali per osservarne l'effetto, "ma adesso non c'è tempo e possiamo soltanto fare studi di prevalenza per capire quando e dove le varianti si stanno diffondendo. Quello che è certo - ha detto ancora Novelli - è che tutte le varianti vanno monitorate raccogliendone le sequenze genetiche".

È stato un programma di sequenziamento che nell'Istituto Pascale di Napoli ha permesso di identificare la variante B.1.525, finora mai vista in Italia. "È una variante nota", ha osservato Novelli, e anche questa è stata generata da mutazioni del patrimonio genetico della proteina Spike, che il virus utilizza per agganciarsi alle cellule.

Il Paese che finora ha isolato di più la variante B.1.525 è la Gran Bretagna, con 39 casi, seguita da Danimarca (35), Nigeria (29), Stati Uniti (10), Canada e Francia (con cinque casi ciascuna), Ghana (quattro), Australia e Giordania (due casi ciascuna) e infine Singapore, Finlandia, Belgio, Spagna e adesso anche l'Italia, con un caso ciascuna.

Ed è stato ancora un altro programma di sequenziamento a portare alla luce le sette varianti comparse negli Stati Uniti e a ricostruire una sorta di albero genealogico che ha alla base il progenitore di tutte le varianti attualmente in circolazione è il virus originario arrivato da Wuhan, indicato con la sigla 19A e che ormai non esiste quasi più; il suo posto è stato preso dalla variante 20A, che a sua volta ha dato origine a due grandi famiglie, chiamate 20B e 20C.

Da quest'ultima è nata la variante 20G ed è da questa che hanno avuto origine quattro delle sette varianti scoperte negli Stati Uniti, chiamate dai ricercatori Robin 1 e Robin 2, Pelican e Yellowhammer. Dalla variante 20B sono invece nate le restanti tre varianti: Mockingbird, Bkuebird e Quail.

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