MILANO.Il bersaglio principale delle persecuzioni messe in atto dalla baby gang sgominata nel Pavese, era un ragazzo di 15 anni, studente di prima superiore, definito dagli inquirenti "fragile". Inizialmente, succube del capo della banda di bulli, aveva accettato di subire una serie di piccole angherie e prese in giro perché temeva di essere emarginato dal gruppo.
Le vessazioni e le umiliazioni, però, erano cresciute d'intensità fino a diventare sempre più violente e insopportabili. Del "branco" - composto soprattutto da coetanei, anche se qualcuno di loro causa bocciature è ancora alle scuole medie - facevano parte anche altri cinque minori tra i 15 e i 16 anni, accusati solo di aver partecipato insieme agli arrestati a una serie di episodi di vandalismo contro treni, altro "passatempo" del gruppo: lanci di sassi, finestrini rotti con i martelletti frangivetro, estintori scaricati all'interno delle carrozze. Dovranno rispondere di danneggiamento aggravato e interruzione di pubblico servizio.
I protagonisti non appartengono a un mondo di marginalità sociale. Sono definiti dagli investigatori tutti "ragazzi di buona famiglia", figli di professionisti, commercianti, impiegati, operai. Le indagini dei carabinieri del capitano Rocco Papaleo sono state complesse e delicate.
Dopo aver raccolto notizie relative ad alcuni degli episodi, hanno dovuto anzitutto convincere a presentare denuncia i genitori di alcune vittime, preoccupati per quanto sarebbe potuto ulteriormente accadere ai loro figli. Non sono mancate le spedizioni punitive, come quella avvenuta a febbraio quando due ragazzi di 15 anni, ritenuti responsabili di aver denunciato alcuni degli episodi di bullismo, sono stati affrontati al rientro a casa, spintonati e presi a pugni.
Solo l'intervento di un genitore, casualmente di passaggio, ha posto fine all'aggressione. Fondamentale nello sviluppo delle indagini è stata la collaborazione che i carabinieri hanno ottenuto da un coetaneo delle vittime, testimone di alcune violenze.
Hanno conquistato la sua fiducia e lui, sentendosi protetto, è riuscito a procurarsi e poi consegnare una delle foto della violenza sessuale divulgate dal "branco", in cui i responsabili si mostravano visibilmente compiaciuti ma soprattutto erano ben riconoscibili.
Erano esibite come trofei su sistemi di messaggistica istantanea le violenze e le umiliazioni cui la presunta baby gang arrestata nel Pavese sottoponeva le proprie vittime. Secondo le indagini, in un caso gli arrestati avevano costretto un loro coetaneo a bere alcolici fino ad ubriacarlo, poi gli avevano messo una catena al collo e l'avevano portato come un cane al guinzaglio in giro per le strade della cittadina in cui risiedono.
In un'altra occasione, in cinque contro uno l'avevano afferrato con la forza, denudato, tenuto appeso per le gambe a testa in giù sopra un ponte e costretto a subire atti sessuali. Il tutto ripreso da un telefonino e il filmato era stato diffuso tra gli amici.
I carabinieri di Vigevano li hanno arrestati e condotti all' istituto penale minorile Beccaria di Milano con accuse che vanno dal concorso in violenza sessuale alla riduzione in schiavitù, dalla pornografia minorile (per la diffusione delle immagini delle loro 'imprese' nei social network) alla violenza privata aggravata mediante lo stato di incapacità procurato alla vittima.
Con i quattro arrestati c'era anche un ragazzino ancora più piccolo, tredicenne e dunque legalmente non imputabile. La sua posizione, considerata la pericolosità sociale, è al vaglio per l' eventuale richiesta di una misura di prevenzione.
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