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La lezione di don Pino, essere cristiani dentro
e fuori la Chiesa: così la fede è esempio

Alla luce dei recenti episodi che hanno visto riaccendersi la polemica sul rapporto tra Chiese del Sud e criminalità organizzata - pensiamo per esempio, a quello dell'«inchino» della statua della Madonna davanti alla casa di un boss, nella diocesi di Oppido-Palmi, durante una processione -, la ricorrenza del martirio di don Pino Puglisi acquista una singolare attualità e diventa occasione per una più approfondita riflessione sul problema.
Nessun dubbio che, in passato, per lungo tempo, Chiesa e mafia abbiano convissuto abbastanza esplicitamente. A volte anche con stretti legami di parentela. Calogero Vizzini, capomafia di Villalba e, secondo molti, della «onorata società» in tutta la Sicilia, aveva due fratelli sacerdoti uno dei quali abitava con lui; uno zio era parroco del paese; un altro zio vescovo e un cugino anch'egli vescovo. La commistione era abituale. I mafiosi facevano da padrini nei battesimi e nelle cresime, organizzavano le feste patronali, partecipavano alle processioni. La stessa ritualità mafiosa era compenetrata di simboli religiosi e sembrava sancire una continuità con quella ecclesiastica. Né c'è da stupirsene troppo, in un contesto storico - quello post-unitario - in cui sia la cultura popolare che la Chiesa percepivano lo Stato e le sue leggi come estranei e nemici.


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