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Roberto Mancini lascia gli Azzurri, era ct dal maggio 2018. Ora si pensa a Conte o Spalletti

Incredulo il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi: "Sorpreso, dispiaciuto, perplesso". Parte il toto-nome per chi erediterà la panchina

Roberto Mancini si è dimesso da ct della nazionale italiana di calcio. La Figc è già al lavoro per trovare il sostituto. La Figc ha appena pubblicato sul sito ufficiale l'annuncio delle dimissioni del commissario tecnico.
"La Federazione italiana giuoco calcio comunica di aver preso atto delle dimissioni di Roberto Mancini dalla carica di Commissario Tecnico della Nazionale italiana, ricevute ieri nella tarda serata", si afferma. "Si conclude, quindi, una significativa pagina di storia degli Azzurri, iniziata nel maggio 2018 e conclusa con le Finali di Nations League 2023; in mezzo, la vittoria a Euro 2020, un trionfo conquistato da un gruppo nel quale tutti i singoli hanno saputo diventare squadra - prosegue la nota -. Tenuto conto degli importanti e ravvicinati impegni per le qualificazioni a Uefa 2024 (10 e 12 settembre con Nord Macedonia e Ucraina), la Figc comunicherà nei prossimi giorni il nome del nuovo ct della Nazionale".

Ai successi ricordati dal comunicato della Federazione va aggiunta, per una panoramica completa, la mancata qualificazione al Mondiale in Qatar, neo più grosso della gestione del tecnico marchigiano. Adesso parte il toto-nome per chi erediterà la panchina: da Conte a Spalletti, sono molte le ipotesi.

Incredulo il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi: "Sorpreso, dispiaciuto, perplesso. Il tempo aiuterà a comprendere le ragioni di questa scelta e della tempistica. Un ringraziamento a Roberto Mancini per quello che ha fatto e dato da CT della nostra Nazionale in questi anni".

Vittorie, abbracci, flop: 5 anni sulle montagne russe

L’Europeo riportato in Italia dopo 53 anni, l’abbraccio in lacrime all’amico Vialli sul prato di Wembley dove avevano perso insieme una finale di Coppa Campioni, i record di vittorie, il gioco. Ma anche la delusione della mancata qualificazione al Mondiale, lo smalto smarrito dopo quel doppio rigore sbagliato contro la Svizzera da Jorginho, le difficoltà a ritrovarsi. E un j’accuse negli ultimi mesi che suonava da preavviso: ‘Non dite che il calcio italiano è rinatò. Sono cinque anni da montagne russe quelli di Roberto Mancini alla guida della nazionale. Chiamato a risollevare l’azzurro nel 2018 dopo la mancata qualificazione ai Mondiali di Russia, lascia dopo la delusione per l’assenza da Qatar 2022 e con una qualificazione a Euro 2024 ancora in ballo.

Il tecnico di Jesi, una carriera in campo da predestinato - classe limpida e colpi di tacco, tra la magica Samp di Mantovani e Vialli e gli ultimi anni alla Lazio di Cragnotti -, approda alla panchina della nazionale a maggio del 2018, dopo le vittorie da allenatore dell’Inter, del City e dello Zenit. Dal club di San Pietroburgo, in quella primavera che precede il Mondiale di Russia mancato dalla nazionale di Ventura, Mancini si libera per compiere il suo destino azzurro: da giocatore ha fallito gli appuntamenti che contano, da ct deve rifondare la nazionale al suo punto più basso.

E in effetti, la cavalcata azzurra sotto la guida di Mancini è un’esplosione di gioco, gol, vittorie, risultati e consensi, dopo un inizio appena stentato. Per arrivare all’Europeo vinto nel 2021 il giorno 11 luglio - data simbolo: è la stessa della finale ‘82 - ai rigori contro l’Inghilterra a Wembley, Mancini inanella una serie di risultati positivi che lo collocano, quanto alle statistiche, davanti a mostri sacri della storia azzurra. Tra il novembre 2020 e luglio 2021 la sua Italia, impostata sul 4-3-3 e il possesso palla, inanella 13 vittorie di fila, la miglior striscia positiva in assoluto di sempre, superando nei numeri Pozzo. Tra il 2018 e il 2021, i 32 risultati utili consecutivi lo rendono il ct meno sconfitto della storia del calcio mondiale.

Ma i numeri dicono poco. Parlano molto di più l’abbraccio e le lacrime all’amico Vialli sul prato di Wembley, dopo la parata decisiva di Donnarumma sul rigore di Saka. C’è tutta una vita, un riscatto. Un anno e mezzo dopo, Mancini e tutto il calcio mondiale piangono l’ex centravanti Samp, stroncato dal male incurabile. E nel frattempo, la nazionale di Mancini ha smarrito la via. Un doppio pareggio con la Svizzera - con la maledizione dei rigori parati da Sommer a Jorginho, uno all’andata, uno al ritorno - condanna l’Italia ai play off: il sorteggio mette gli azzurri nel girone del Portogallo, ma alla finale-spareggio non si arriva neanche. A Palermo un gol di Nestorovski manda avanti la Macedonia del Nord e gli azzurri a un nuovo inferno. Questione di risultati, certo. Ma anche di gioco. L’Italia ammirato da tutta Europa per la vittoria del 2021 e ancor più per la volontà di imporre il gioco non c’è più. Manca un centravanti, non si segna, Mancini fa ricorso agli oriundi come Retegui, il ricambio in difesa, dopo l’addio di Chiellini e con il declino di Bonucci, è difficile.

Soprattutto, l’Italia del bello ha smarrito la sua via a centrocampo. Mancini prova e riprova, fa stage, lamenta che i club non gli hanno concesso spazi prima degli spareggi e si inventa dei ‘casting’ tra giovani delle serie minori in cerca di volti nuovi. Nella sua gestione sono 104 i convocati, molti gli esordienti, il nome simbolo - nella prima fase - è Zaniolo, convocato quando ancora non ha nemmeno 1’ di serie A nelle gambe. Poi l’ex romanista, Kean, anche Zaccagni si renderanno protagonisti di gesti che al ct non piacciono, di scarso attaccamento all’azzurro. Come non piace l’aria che respira attorno a una nazionale in declino, i cui problemi sono solo nascosti dalle tre finaliste nelle coppe per club. «Non dite che il calcio italiano è rinato». Non basterà a fargli cambiare idea neanche la ristrutturazione del Club Italia varata nelle settimane scorse dal presidente Figc, Gravina, che gli affida il compito di supervisore di tutte le nazionali, dai giovani alla sua Italia. Ma Mancini ha scelto di non essere più ct, e di chiudere cinque anni di vittorie e amarezze.

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