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Tagli alla Regione, c’è chi ancora non ha compreso

Partiamo dai pochi elementi certi nella sarabanda di contestazioni che caratterizzano il confronto politico sul bilancio regionale 2015. Cominciamo con il dire che mancano all’appello, o più correttamente a legislazione vigente, poco più di quattro miliardi di euro. Il secondo elemento inconfutabile è dato dal clima politico incandescente, segnato da una preoccupante divaricazione tra Parlamento e Governo, maggioranza inclusa. Il terzo elemento di relativa certezza risiede nella scelta in favore di una politica di riforme rigorosa senza sacrificare, anzi valorizzando gli investimenti.

Il clima da assedio permanente priva però l'opinione pubblica della possibilità di comprendere e relega una questione che coinvolge milioni di siciliani ad una disputa riservata agli addetti ai lavori. Ora non compete a questo Giornale assegnare pagelle alle posizioni in campo, ma certo non si può ignorare la stranezza di una situazione che non privilegia proposte ma si fonda sull'ostracismo.

La prima considerazione non può che riguardare quindi un chiarimento definitivo tra il Parlamento, il governo e l'assessore all'Economia, Baccei. Il confronto d'aula sulle linee strategiche del prossimo bilancio è arrivato persino a negare l'evidenza statistica del buco nero nel quale è precipitata l'economia siciliana che si intesta il 20% di tutti i posti di lavoro persi negli anni della crisi e nell'intero territorio italiano; per tacere della caduta senza precedenti nei consumi delle famiglie siciliane. Eppure da qui bisogna muovere, accantonando interessi di parte, perché qualunque sia la mission che esponenti politici attribuiscono al neo assessore all'Economia, è difficile mettere in dubbio che il Mezzogiorno ha perso una quota di Pil superiore a quella media nazionale e che la Sicilia è andata peggio del Mezzogiorno. Il Pil, per limitarci a questo indicatore, rappresenta il «riassunto» dell'economia. Se cresce aumenta il benessere e l'occupazione se cala... ne vediamo tutti i giorni gli effetti.

Il confronto sui tagli necessari alla spesa regionale deve partire dal «buco» di circa quattro miliardi. Si confermi o si smentisca questo dato. Poi se le manovre proposte non piacciono se ne propongano altre, purchè il saldo finale delle spese sia in equilibrio con il saldo finale delle entrate.

Sembra sottrarsi al dibattito politico la percezione della posta in gioco e dei rischi altissimi cui sono esposti i siciliani. A volte, quasi con levità, si parla di commissariamento, fingendo di ignorare che se mai arrivassero i tre commissari previsti dallo Statuto, e di nomina governativa, questi sarebbero chiamati ad un compito rigoroso ed asettico, certamente inadatto a cogliere le criticità di questa o quella categoria di cittadini. Il commissariamento non è articolo da trattare con leggerezza. Una cosa comunque deve essere chiara; se alla fine il giocattolo dovesse andare in frantumi, non andrebbero in crisi l'Ars o il governo della Regione, ma lo stesso istituto autonomistico cui, in tanti, attribuiscono a parole una valenza irrinunciabile. E bisogna pure aggiungere che l’autonomia non è cosa loro ma un istituto che deve essere voluto dalla gente. E che, se i siciliani dovranno associare questa autonomia alle condizioni attuali dell’Isola, ad essa preferiranno rinunciare. Questa è la posta in gioco. Non altro.

In un quadro di tale complessità non fanno ben sperare certe sortite della politica, vuoi quando puntano a salvaguardare insostenibili privilegi pensionistici, vuoi per tutelare sussidi il più delle volte spacciati come controprestazioni lavorative.

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