La decisione del governo Crocetta di equiparare per legge gli stipendi del personale dell’Ars con quelli della Regione siciliana, con alta probabilità, provocherà più di un conflitto quando arriverà alla verifica delle commissioni di merito e subito dopo dell’Aula. Anche l’opinione pubblica mostra particolare interesse al tema, con posizioni eterogenee, come dimostrano i tanti interventi sul sito Internet del Giornale di Sicilia (puoi leggerli
QUI) e di cui parliamo in dettaglio nel prosieguo.
Insomma il tema è caldo e sicuramente contrastato. Ne è consapevole lo stesso presidente Crocetta, nel momento in cui pone su un piatto della bilancia l’aspettativa di resistenze e vischiosità a livello parlamentare e, sull’altro piatto, la possibilità comunque di incassare un benefit politico dalla necessaria emersione di eventuali posizioni contrarie alla sua proposta di legge. Magari tanta attenzione fosse riservata all’uscita della Sicilia dal tunnel del sottosviluppo! Ma si sa, la classe dirigente di questa nostra Isola non subisce molto il fascino di una Sicilia diversa, produttiva ed efficiente.
Che quello degli alti stipendi fosse un tema sensibile, lo dimostra tra l’altro il tormentato percorso nelle Aule della Camera e del Senato del provvedimento di riduzione dei livelli retributivi del Personale. Malgrado il tweet, un mese fa, del vicepresidente della Camera («rassicuro@matteorenzi, anche le Camere avranno il tetto agli stipendi dei dipendenti), in realtà la decisione di un allineamento con gli altri statali (240 mila euro omnicomprensivi) non ha avuto vita facile. Come evidenzia una cronaca del quotidiano Libero, a firma di Franco Bechis, il tetto posto ai segretari generali della Camera e del Senato è stato fissato sulla carta a 240 mila euro annui, ma con la robusta integrazione dei contributi previdenziali e di una indennità di funzione, che portano la retribuzione complessiva a circa 370 mila euro; con la “beffa” sottolinea Bechis, che la riduzione intanto ha il carattere della transitorietà e viene comunque diluita in quattro anni (un quarto in meno all’anno).
Insomma tagliare resta difficile, sempre e comunque. Ma la vicenda di Camera e Senato offre altri spunti di riflessione. Intanto va ribadito che il tetto “statale” voluto da Renzi e fissato a 240 mila euro annui è omnicomprensivo; per intenderci comprende anche gli oneri previdenziali ed assicurativi, che pesano non poco, fino al 35%. Se guardiamo ad esempio alla paga di un operaio metalmeccanico, una retribuzione netta mensile di 1.034 euro discende da un costo totale di 1.950 euro; certo in questa differenza rientrano anche le tasse e la quota contributiva a carico del lavoratore, ma si tratta pur sempre di una differenza prossima al 90%. A maggior ragione per un alto dirigente. La seconda considerazione è in realtà un auspicio; c’è una fetta importante del costo del lavoro che non è visibile nel cedolino dello stipendio; si tratta degli oneri previdenziali ed assicurativi a carico del datore di lavoro. Sarebbe una scelta di trasparenza, tanto per il lavoratore che per il datore di lavoro, se anche queste voci trovassero visibilità nella busta paga; diventerebbe ancora più chiara l’enormità e l’insostenibilità della forbice tra il lordo ed il netto che caratterizza in negativo l’Italia, nel panorama europeo e mondiale.
Nel sito del Giornale di Sicilia (www.gds.it) numerosi lettori sono intervenuti sul tema dell’allineamento delle retribuzioni tra Personale ARS e Personale della Regione Siciliana: dalla logica stringata del lettore che si firma Giusto «a pari qualifica pari retribuzione», alla promessa di un consenso a vita (dal lettore Salvo) ove si realizzasse l’allineamento retributivo annunciato; da un drastico «chi non ci sta a casa senza pietà» di Antonio, al sarcasmo del lettore Grandeur che accusa appunto di... grandeur i politici che hanno equiparato l’ARS al Senato della Repubblica. Per tacere poi del lettore “Sproporzioni” il quale, con una sua logica, sostiene che il più basso numero dei parlamentari dell’ARS rispetto al Senato (90 contro 315) dovrebbe implicare, in conseguenza, una rimodulazione verso il basso della retribuzione del segretario generale della assemblea siciliana, rispetto al “collega” romano. Come era facilmente immaginabile le adesioni alla proposta Crocetta prevalgono di gran lunga sui giudizi critici e (forse qualche volta) direttamente interessati. D’altra parte l’ARS conta poco più di 250 dipendenti, mentre la sola Amministrazione regionale supera la soglia dei venti mila, senza considerare altre posizioni apicali nell’orbita regionale ed escludendo la marea di stipendiati, disoccupati e sottoccupati presenti in Sicilia. Ma dovendo comunque per dovere di cronaca, dare conto anche delle posizioni critiche, le argomentazioni addotte dai lettori Carlo e Luisa lasciano più di uno spiraglio aperto al dubbio. Carlo, ad esempio, mette il dito sul merito ed interpreta la questione con un assioma: concorsi diversi-stipendi diversi. L’osservazione riguarda una piaga antica ed è in parte fondata; ormai da anni non si fanno più concorsi alla Regione, essendo stata privilegiata la più comoda scorciatoia di assumere per chiamata e... sanare per legge. Tuttavia bisogna considerare che anche alcuni alti dirigenti regionali hanno affrontato un concorso pubblico, mentre non si possono ignorare le funzioni svolte da ciascuno, che anche alla Regione, al di là del luogo comune, possono fare tremare i polsi. La lettrice Luisa dal canto suo sottolinea anch’essa il tema del reclutamento e fa riferimento ad orari diversi, come questioni che possano giustificare differenze retributive accentuate. Al riguardo è noto che tutti i contratti collettivi di lavoro disciplinano, e certo in maniera non penalizzante per i lavoratori, le prestazioni in eccedenza rispetto al normale orario, ivi inclusi notturni e festivi.
È certo comunque che temi tanto delicati come quelli retributivi vadano trattati con sobrietà e rispetto del prossimo, nella banale considerazione che dietro un cedolino c’è sempre una persona. È frequente invece la tendenza a personalizzare, ad aggredire, spesso facendo emergere frustrazioni personali, aspri risentimenti e, perchè no, anche qualche tentativo di rivalsa. Si tratta di comportamenti diffusi cui fa da catalizzatore la pratica, un po’ bolsa, dell’anonimato. Detto questo però, è arduo immaginare che la questione retributiva nel “pubblico” possa essere ignorata o ancor peggio aggirata, magari nascondendo le informazioni. Oggi prevale il tiro al piccione contro i regionali e l’ARS, mentre non una parola si sente, ad esempio, sulla retribuzione di dirigenti comunali che, pure, fanno annichilire i colleghi regionali. Il Paese richiede invece uno sforzo comune e solidale; ha bisogno di recuperare un livello adeguato di equità e necessita di un drastico abbattimento di quelle differenze che, ad un vaglio approfondito, dovessero restare ingiustificate.
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