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Aereo malese sparito: errori e complotti, è l’ora delle ipotesi

Questa volta non daranno la colpa ai russi. Almeno subito. E neppure ai loro nemici di quella strana ma sanguinosa guerra nelle pianure dell'Ucraina. Questa volta penseranno tutti che, se non è stato proprio un incidente nella sua tragica innocenza, se c'è una maledizione o un complotto esso deve riguardare una tutt'altra area del mondo, quella che include la Indonesia e la Malesia. Due nazioni musulmane che si distinguono però per la moderazione generale della loro politica, per la pacatezza di quella religiosa. Con diverse eccezioni locali, certo, inevitabili quando un Paese come l'Indonesia si compone di più di mille isole e le sue frontiere non sono, di conseguenza, proprio così limpide e indiscusse. La ragione vuole, perlomeno in queste ore in cui più febbrile è l'unica reazione possibile - la ricerca dei rottami nella speranza di trovare qualche superstite - che si parta dall'ipotesi più tragicamente banale: un guasto, una macchina che si rompe, un pilota indotto a cercare di cambiare rotta a causa di una tempesta. Il mistero comincia subito dopo, quando alla richiesta di cambiare la stazione-ombrello a terra, non arrivano indicazioni e si «staccano» invece tutti i contatti.

Il mondo ha ora il triste dovere di riaprire il libretto degli appunti inaugurato questa primavera, quando scomparve il Boeing della Malaysia Airlines diretto a Pechino e spostato invece da una forza misteriosa nelle distese dell'Oceano Indiano. E arricchito qualche mese dopo da un disastro ancora più sinistro, quello del volo in partenza da Amsterdam che si trovò a sorvolare una zona calda dell'Ucraina e fece da magnete a qualche arma tuttora senza una targa. Questa volta la rotta era tutta asiatica, diretta alla pacifica Singapore, decollata da una città più nota finora, almeno in Occidente, per dei riferimenti letterari che non recenti tensioni territoriali (era però una tragedia quella brechtiana di Surabaia Jonny).

La parola, dunque, dovrebbe finire di nuovo ai tecnici. Di sicuro non dovrebbe sussistere la spiegazione che potrebbe esistere se l'aereo dell'ennesima tragedia fosse in qualche modo antiquato. Non lo è, è modernissimo, ha tutto quello che la tecnica del ventunesimo secolo può offrire. Si passerà dunque all'errore umano, poi al caso poi, nella peggiore delle ipotesi, alla leggenda il cui ricordo era già pudicamente emerso al momento del primo incidente: una trasposizione in aria del Triangolo delle Bermude, che era entrato nella leggenda da una locazione caraibica. In realtà l'unica cosa che si possa fare è cercare superstiti, vittime, valigie. L'angoscia è di tutti ma più direttamente per la linea aerea Air Asia, una delle più efficienti e ambiziose del settore low cost: anche se è solo malasorte, anche il diffondersi di certe voci costituisce, eccome, un pericolo. E poi il discorso si allargherà fatalmente a due governi e dunque a due Paesi: la Malesia presa di mira direttamente con i suoi aerei e l'Indonesia che ancora una volta ha pagato di più in vite umane. A questo punto, sia pure nell'assenza quasi totale di indizi che dovrebbe consigliare il massimo di riserbo, è inevitabile che si facciano ipotesi anche riguardanti i due Paesi più direttamente colpiti dalla «malasorte del Mar di Malesia» alla ricerca di «trame». C'è qualcuno che dall'ombra vuole «destabilizzare» la Malesia? Sulla base di quanto accade in altre parti del mondo la prima ipotesi forse dovrebbe riguardare gli estremisti islamici. L'Indonesia è il più popoloso Paese musulmano della Terra ma è governato, almeno al suo centro, con relativa moderazione. L'Isis non è di casa da queste parti tranne che in qualche isola dove la religione ricopre faide locali e le frontiere si cancellano negli oceani non solo verso la Malesia ma anche, ad esempio, le Filippine maggioritariamente cristiane.

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