ll via libera c'è ma la paura è ancora tanta e la prudenza mai troppa. E così in molti in strada continuano ad indossare le mascherine nei primi giorni in cui non è più obbligatorio farlo.
"Una abitudine legata ad un bisogno di protezione da un rischio" la definisce Lavinia Cicero, psicologa sociale e del lavoro e psicoterapeuta relazionale e docente di Psicologia delle Relazioni interpersonali e di gruppo all'università Dante Alighieri di Reggio Calabria.
"In questi due anni abbiamo modificato il nostro modo di fare, le campagne istituzionali e politiche ci hanno portato, fra le altre cose, all'uso della mascherine e non solo, nuove abitudini di tutela sono entrate nella nostra quotidianità. Sottolineo l'utilità e l'aspetto sano di queste abitudini, la campagna di diffusione e prevenzione ha avuto successo e le nostre abitudini sono state influenzate proprio al fine di proteggerci da un rischio effettivo, andando incontro al bisogno psicologico di sicurezza. Adesso, per riportare a un nuovo cambiamento di abitudini ci vorrà del tempo, emergeranno anche delle scelte personali, basate su variabili individuali e psicosociali: emotive come la paura (che talvolta può essere eccessiva e non sempre basata su fatti concreti), l'ambiente socio-culturale, l'età".
Ma a un livello sociale più ampio le istituzioni e la politica avranno di nuovo un ruolo fondamentale di guida per i cittadini, rispetto all'adeguamento dello stile di vita alla situazione contestuale. Proprio perché si tratta di un fenomeno che è esteso alla collettività.
E gli altri nuovi comportamenti? Avvicinarci troppo agli altri, stringere una mano, toccare degli oggetti fuori casa, usare l'ascensore con un vicino: "Noi esseri umani nelle relazioni siamo abituati a gestire lo spazio intorno a noi e tra noi e l'altro, è uno spazio che viene denotato culturalmente. La prossemica studia proprio questo aspetto che differenzia le culture ed è legato anche ai bisogni psicologici che sono alla base delle relazioni interpersonali. Negli ultimi anni di pandemia abbiamo dovuto rinunciare a molti rituali e abitudini sociali che sono utili per rispondere ai nostri bisogni "sociali" nei diversi contesti: sul lavoro, nei rapporti familiari e nella quotidianità. Ora ci sono studi in corso che stanno valutando gli effetti di questo ma, certamente, alcune fasce di popolazione sono più soggette di altre a ritornare alle abitudini di 'contatto'. I giovani, ad esempio, hanno ricominciato ad avere dei contatti più ravvicinati, spinti dalle istanze tipiche della loro fase di vita. Altro discorso è per quelle persone che presentano situazioni di fragilità o disagio psicologico che vanno monitorate per evitare che permangano abitudini di protezione, chiusura e isolamento eccessive basate su ansie immotivate rispetto alla reale situazione concreta. In questi casi ricorrere a un supporto professionale (medico, psicologo, etc.) per affrontare e superare queste criticità diventa fondamentale".
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