I modi pacati, la voce che è un soffio delicato, il sorriso dolce. Marco Mengoni porta la gentilezza al festival di Sanremo. «Gentilezza e verità, che è quello che voglio io dalla vita. Essere il meno giudicante possibile», dice poco prima di salire per la quarta volta nella sua carriera sul palco dell’Ariston. La prima volta è stata in gara nel 2010. Poi nel 2013, quando vinse con L’Essenziale. E nel 2019 come ospite fisso del festival di Claudio Baglioni con il compito di aprire la manifestazione con un toccante omaggio a Sergio Endrigo.
«In questi giorni ho pensato al festival del 2013, non me lo sono goduto abbastanza, avevo solo 24 anni. Ogni volta è stato diverso - si racconta il cantautore -. Si cresce, si fanno esperienze, ed è bello tornare per vedere come ti rapporti con il palco, quanto riesci a cambiare e a maturare. È un confronto con te stesso. E con la tua musica che cresce con te. E si diventa più coraggiosi, tanto da uscire con un disco influenzato dal soul, dal rhythm and blues, dal gospel».
Il riferimento è all’ultimo suo lavoro Materia (Terra), che gli ha appena regalato il 60/o disco di platino della sua carriera. E in cui racconta se stesso, con gentilezza e verità. «Oggi sono consapevole dei miei limiti, ma anche dei miei pregi». All’Ariston ha voluto continuare a portare questo messaggio. E lo ha fatto, oltre che con la musica proponendo prima L'Essenziale con un nuovo arrangiamento e poi Mi fiderò, scegliendo di rileggere, insieme all’amico Filippo Scotti (l'attore protagonista di È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino) con il quale ha letto alcuni tweet di insulti, due articoli della Costituzione: l’articolo 3 e l’articolo 21.
«Il primo è per le pari dignità per tutti, il secondo è per la libertà di parola - spiega -. E non è un discorso politico. Non che ci sia censura, ma vedo tanta libertà di parola e nessun limite». Spazio anche a Scotti con una poesia del poeta Franco Arminio (A un certo punto). «Mi sono emozionato quando l’abbiamo provata la prima volta. Anche questo testo ha a che fare con il calmare i toni, con l’accogliere con delicatezza e comprensione verso l’altro quello che arriva».
Ma Marco si sente capito? «Non sempre. Il mondo è talmente pregno di cose, siamo tutti qualcosa di unico. Come ha detto Drusilla, siamo tutti unici, e nell’unicità è difficile comprendersi, ma bisogna provarci». Intanto è arrivato un festival che ha raccolto consensi e ascolti da capogiro. «Anche io l’ho visto e mi sono divertito. Il successo conferma che c'era bisogno di show, di varietà, di ascoltare, parole e canzoni, c'era il bisogno di divertirsi. Ho visto trasparire la voglia di condivisione, di ricominciare perché - diciamolo - non se ne può più. Siamo animali sociali che sono stati messi a duro prova ma abbiamo bisogno del contatto e della condivisione. Abbiamo capito che non sempre uno schermo ci può aiutare. Gli haters? Io uso la gentilezza».
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